La Bibbia e l’AIDS In quest’articolo desideriamo esemplificare quale possa essere il contributo della Bibbia nell’esame del problema dell’AIDS
Non sempre la Scrittura può contenere precise indicazioni su aspetti della morale, specialmente quando, come nel nostro caso, si tratta di questioni sconosciute ai tempi biblici. In tali casi la Parola di Dio può comunque essere un fondamentale punto di riferimento come cartello indicatore e può chiarire questioni di fondo in modo che tali delucidazioni, a loro volta, possano di illuminare le sfere trattate e fornire direttive chiare sul come comportarsi di conseguenza.
E’ sotto gli occhi di tutti la rilevanza sociale del fenomeno dell’AIDS e, per noi cristiani, la necessità di individuare una prospettiva biblica che possa fornire una risposta adeguata al problema. Probabilmente non c’è nessun argomento al pari dell’AIDS che, in questi ultimi anni, abbia polarizzato l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale, sia per il suo impatto sulla società sia per le prospettive spettrali che esso evoca.
La sigla AIDS è l’abbreviazione di “Acquired Immuno Deficiency Syndrome”, cioè la sindrome da immunodeficienza acquisita, malattia esplosa negli ultimi anni e causata dall’H.I.V., “Human Immunodeficiency Virus”, cioè il virus dell’immunodeficienza umana, il quale ha la temibile capacità di attaccare e distruggere alcuni linfociti fondamentali per le nostre difese immunitarie. Due peculiarità di questo virus sono innanzitutto quella di avere un lungo periodo di incubazione e, poi, di cambiare continuamente le sue caratteristiche, di modo che la malattia può manifestarsi quando ormai è troppo tardi per poter essere curata. Volendo fornire alcuni dati sulla malattia, ricorderemo che in Italia nel 1991 furono registrati circa 9000 malati di AIDS, ma al 30 giugno 1995 essi erano saliti ad oltre 29000, di cui piú di 18000 deceduti. Se si considerano però i ritardi e le omissioni nel fornire questi dati, si stima che nel 1997 i malati di AIDS in Italia eranoo oltre 35000, con almeno altri 120000 sieropositivi, e si prevedeva che il numero di nuove infezioni non avrebbe accennato a calare nel futuro.
 
A livello mondiale, negli ultimi dieci anni, si è riscontrato che la diffusione dell’infezione da HIV è leggermente diminuita in Europa, America e Africa, ma è in costante aumento in Asia. I dati ufficiali complessivi, nel 1997, parlavano di circa 8 milioni di morti, 10 milioni di malati e 30 milioni di sieropositivi, con la previsione di vedere almeno raddoppiate queste cifre prima del Duemila, ad una media annua di quasi 5 milioni di persone infettate e oltre 500 mila bambini nati con l’HIV. Fino a oggi non esistono cure efficaci per contrastare l’attività letale del virus HIV e c’è chi avanza seri dubbi sulla stessa possibilità che in futuro si riesca a produrre un medicinale in grado di eliminare totalmente l’HIV dall’organismo, visto che ci si può solo limitare a combatterne i sintomi. Sulle possibili vie di contagio della malattia, per tanto tempo ha regnato la disinformazione e hanno trionfato i pregiudizi. Oggi si sa per certo che l’HIV si propaga solo attraverso il sangue e sempre che vi sia una sufficiente quantità di virus vivo. In pratica, questo significa che l’infezione è trasmissibile con i rapporti sessuali, l’uso di aghi già adoperati, le trasfusioni di sangue e la gravidanza di donne sieropositive.
 
Non sono, invece, mezzi di trasmissione per l’HIV la saliva, il sudore e le lacrime; pertanto non c’è pericolo nel baciarsi, nel mangiare insieme e nell’usare la stessa toilette o lo stesso telefono, a meno che, incidentalmente, vi sia in questi casi una trasmissione di sangue infetto. In relazione alle possibili vie di contagio dell’AIDS, non esistono molte protezioni e precauzioni possibili. Se è vero che non vi è la certezza che ogni comportamento a rischio provochi in ogni occasione un’infezione, è anche vero che può essere sufficiente un solo atto a rischio per ammalarsi di AIDS. Per quanto riguarda l’uso di siringhe infette e le gravidane di donne sieropositive non c’è alternativa: solo evitandole si potrà essere certi di non essere contagiati e di non contagiare altri. In ordine alle trasfusioni di sangue, sono stati compiuti molti progressi ma non esiste ancora garanzia di assoluta sicurezza in ogni struttura sanitaria.
 
Discorso piú complesso è quello del rapporto sessuale, omo ed eterosessuale. In campo scientifico molti sostengono che i preservativi, come accade per la prevenzione delle nascite, riducono il rischio di infezione ma non rappresentano una protezione del tutto sicura contro l’HIV. I modi migliori per prevenire l’AIDS in questo campo sono senz’altro l’astinenza sessuale e la fedeltà coniugale di entrambi i coniugi. In qualità di cristiani non intendiamo ostacolare la ricerca scientifica né le propagande educative sull’AIDS, ma non possiamo neanche condividere l’assunto della fiducia assoluta nel progresso scientifico né appoggiare le piþ fanatiche campagne per l’affermazione della “parità di diritti” da parte di alcune minoranze il cui comportamento non è biblicamente accettabile.
 
Inoltre, come evangelici individuiamo dei limiti nell’approccio liberale all’AIDS, spesso appoggiato senza riserve da altri ambienti religiosi, anche protestanti. In questo senso ecco che subentra la Parola di Dio come giudice di comportamenti non direttamente da essa disciplinati.
L’omosessualità non è approvata dal Signore, il Quale, nella sua Parola, condanna espressamente anche altre pratiche che possono causare l’AIDS, come la fornicazione, l’adulterio, la prostituzione. Da questo punto di vista il giudizio cristiano dev’essere inflessibile: i comportamenti appena citati sono immorali perché contrari alla volontà di Dio, la quale è chiaramente rivelata nella Bibbia.
Diverso è il discorso relativo alle persone che adottano queste pratiche: esse vanno poste dinanzi alle loro responsabilità nel cospetto di Dio e degli uomini, ma ciò dev’essere fatto con amore e nella prospettiva di salvare le loro anime per l’eternità. In tale contesto, come cristiani possiamo ad esempio opporci, per quanto riguarda l’omosessualità, alle campagne di “caccia al diverso” e appoggiare quelle volte all’acquisizione di diritti fondamentali quali la protezione e il rispetto, ma non potremo condividere eccessi come l’estensione a coppie omosessuali del diritto di adottare bambini o di averne per fecondazione artificiale. Il peccato va biblicamente individuato per quello che è, e condannato senza attenuanti, proprio come fa il Signore; ma, allo stesso tempo, i peccatori vanno aiutati a uscire dalla loro disubbidienza e a trovare la nuova vita in Cristo.
 
Giungiamo ora a un nodo focale nella discussione etica sull’AIDS: questa malattia può o deve essere considerata un castigo di Dio su determinati comportamenti immorali? C’è chi afferma che sia questa la corretta prospettiva biblica, visto che già l’Antico Testamento contempla punizioni divine simili a quelle dell’AIDS per chi disubbidisce ai comandamenti di Yahwè (De 28:22) e anche il Nuovo Testamento prevede che certi comportamenti innaturali portino a terribili ricompense per coloro che li adottano (Ro 1:27; cfr. Ga 6:8). Come conseguenza pratica, si ritiene in genere che i malati di AIDS siano giustamente colpiti da questa malattia e che i cristiani debbano limitarsi a condannare sia i comportamenti sia le persone coinvolte. Da parte nostra siamo d’accordo con quegli studiosi che, invece, partono dalla considerazione che non tutte le persone immorali siano ammalate di AIDS, né che tutti coloro che sono colpiti da questa malattia vivano una vita dissoluta.
 
Oltre a ciò, è biblicamente errato dedurre che la malattia sia obbligatoriamente una conseguenza del peccato (basti considerare l’esempio di Giobbe e l’insegnamento di Gesú in Lu 13:4-5) e anche nel nostro caso non si può mettere sullo stesso piano, ad esempio, un sieropositivo che abbia contratto il virus mediante trasfusione di sangue con un altro che lo abbia contratto mediante fornicazione continuata.
Proprio il dilagare del peccato e della disubbidienza alla Parola di Dio, oltre a provocare anche l’AIDS, sta a dimostrare che noi uomini siamo tutti peccatori davanti a Dio (Ro 3:10-12), che la salvezza è solo per grazia divina e dev’essere considerata un dono da offrire anche agli altri, peccatori come noi, piuttosto che da custodire gelosamente. Ogni malattia e la morte stessa sono conseguenze dell’entrata del peccato nel mondo (Ro 5:12), ma spesso non hanno un rapporto diretto con i peccati del singolo, essendo talvolta permesse da Dio addirittura per manifestare la sua gloria, come nel caso del cieco nato (Gv 9:3) e quello della risurrezione di Lazzaro (Gv 11:4). In questo senso, allora, anche l’AIDS è una possibile conseguenza di alcuni comportamenti immorali ma non necessariamente un giudizio divino sommario su tutti i comportamenti e le persone coinvolti.
 
Se si accetta la nostra impostazione, allora l’AIDS cessa di essere un oscuro nemico del quale aver paura e da biasimare dall’alto; ma la prospettiva etica si sposta sul piano della pubblica condanna dei comportamenti immorali e parallelamente dell’opera di avvicinamento alle persone coinvolte, al fine di portare sollievo e amore per ottenere la salvezza eterna delle anime. In questo senso, allora, a nostro avviso si aprono per la chiesa e per i singoli credenti delle opportunità meravigliose di testimonianza cristiana, che almeno qui in Italia sono ancora tutte da scoprire e da adottare. Come singoli cristiani e come chiese evangeliche, infatti, abbiamo bisogno di guardare con amore a tutti gli uomini e a tutte le donne per portarli alla Croce di Cristo. Anche i malati, ed anche i malati di AIDS, hanno bisogno di una parola di conforto e di quella “carezza d’amore” che solo Dio può dar loro, e potrà dare solo se noi ci mettiamo a Sua disposizione.
 
Solo i cristiani nati di nuovo possono trasmettere la serenità che viene dalla certezza di essere stati perdonati in Cristo e di aver ricevuto, per grazia mediante la fede, la vita eterna. Solo i figli di Dio possono essere usati dal Signore per dare una speranza vera e una certezza solida ai malati terminali di AIDS. Possiamo lodare l’Eterno per i tanti fratelli in fede che lavorano negli ospedali, magari proprio a contatto con questi malati, e preghiamo che anche tanti altri possano aggiungersi in questo prezioso servizio, affinchè la luce di Cristo possa risplendere su centinaia e centinaia di persone disperate che muoiono ogni giorno senza conoscere la gioia del perdono di Dio.

Giuseppe Martelli

Ulteriori approfondimenti sul tema possono essere rinvenuti nel mio articolo “La consultazione della Bibbia nelle questioni etiche del nostro tempo”, apparso su Lux Biblica n. 16/97, ed. IBEI Roma, 2° semestre 1997.
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alex

E' di oggi la notizia con cui è ribadita la convinzione, per la visione cattolica, dell'errore dell'utilizzo del preservativo. Scelta coraggiosa, per certi versi, ripresa e annunciata proprio in occasione dei viaggi del Papa nel paese più colpito al mondo da questa terribile piaga.

Concordo con il il Capo di Stato del Vaticano quando dichiara che per il problema AIDS la soluzione non può essere il preservativo: "Non risolve il problema. Serve, invece, un rinnovamento spirituale e umano della sessualità"

Certamente vero, come non essere daccordo? Il fatto che non mi convince, però, è che il problema, nel mentre si intraprende il "rinnovamento", distrugge vite.

Interessante la piccola meditazione, riportata sopra, di Giuseppe MARTELLI, che purtroppo non ha la stessa risonanza del pensiero del Papa. Si evidenzia come certamente ogni malattia e, in definitiva, la stessa morte sia frutto del peccato e che è necessario odiare il peccato ma amrae il peccatore. Ed è altresì verò che non sempre chi è colpito da una malattia come l'AIDS o chi può essere infettato da tale virus sia dedito a pratiche che necessitano di "rinnovamento". Per questo, ritengo, che sia azzardato se non criminale criminalizzare spiritualmente il preservativo ed indurre, imporne, l'inutilizzo. Penso, ad esempio, a quelle coppie in cui solo uno sia affetto da HIV....


ANSA - 2009-03-17 22:41

 (di Laurence Figà-Talamanca)
 Un coro di critiche, accompagnate da una valanga di dati sulla diffusione del virus Hiv, da società civile, Ong e scienziati, e un silenzio quasi totale dal mondo politico hanno accolto le parole del Papa sul no all'uso dei preservativi nella lotta all'Aids.

 "Non servono anzi aumentano i problemi", ha detto Ratzinger mentre volava verso il Camerun, prima tappa della sua visita in Africa, continente in cui vive il 67% dei sieropositivi dell'intero pianeta. Parole che in un istante demoliscono anni di campagne di informazione e sensibilizzazione messe in atto dall'Onu, dalle associazioni gay e dalle Ong che lavorano a stretto contatto con i sieropositivi e che oggi tornano a ripetere il loro monito: il preservativo è "fondamentale" nella lotta all'Aids, "é un'arma decisiva". Tace, tranne qualche eccezione, la politica. Nessuna reazione arriva infatti da Pd, Pdl e altre forze parlamentari, mentre interviene - solitario - il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero: "Nessuno vuole negare al Vaticano di proporre la propria concezione della sessualità - dichiara - ma la tutela della salute delle persone e la lotta all'Aids impone la prevenzione e quindi la distribuzione di preservativi".

I radicali parlano di "falsità antiscientifica" e lanciano un appello proprio a quella classe dirigente rimasta in silenzio: "dimostri coraggio, coerenza e serietà smentendo quelle frasi che alimentano l'ignoranza e la diffusione dell'Aids". Appello finora inascoltato. Tocca quindi alla società civile prendersi la responsabilità di condannare il "grave errore" del pontefice e la "cattiva informazione" contenuta nelle sue dichiarazioni. "Siamo alla complicità consapevole di contribuire al diffondersi di una patologia che proprio in Africa assume i tratti di vera e propria pandemia", afferma il presidente dell'Arcigay, Aurelio Mancuso, mentre "il comportamento umano morale e corretto evocato dal papa ha per ora solamente contribuito ad aggravare la disastrosa situazione africana". Franco Grillini, presidente di Gaynet, parla di "responsabilità non solo morale, ma anche diretta, della chiesa cattolica nella mancata prevenzione alla diffusione dell'Hiv", mentre Actionaid cita i dati dell'Unaids (33 milioni di persone infettate nel mondo, di cui 22 nell'Africa sub-sahariana) e ricorda che il preservativo resta "un'arma decisiva per la prevenzione". Anche il mondo scientifico si preoccupa di confutare la tesi del papa e cioé che i preservativi "aumentano i problemi". "Penso che il Papa sia stato informato da cattivi consiglieri - dichiara l'immunologo Ferdinando Aiuti da sempre impegnato nella ricerca e nella lotta a questa malattia -: la scienza ha dimostrato che i preservativi sono un'arma fondamentale contro l'Aids e tutte le malattie sessualmente trasmesse".

Fuori dal coro la World Women's Alliance for Life & Family (Wwalf) che il 20 e 21 marzo terrà in Vaticano la Prima Conferenza Internazionale su donna e diritti umani: considerare l'uso del preservativo come la panacea nella lotta all'Aids "denota o ignoranza o malafede", afferma la presidente Olimpia Tarzia, mettendo in guarda da "un inganno che induce, particolarmente le giovani generazioni, a una falsa sicurezza, esponendoli maggiormente al rischio".

Inviato da alex il

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