Nella vostra vita avrete tutti certamente sperimentato come si possa essere estremamente soli, e come la vita talvolta sia vuota.
Certe volte si ha la sensazione che manchi qualcosa. Ma cosa? Ve lo dirò io: manca il Salvatore vivente.
Gesù morì sulla croce per pagare il nostro debito. Notate la frase: «II castigo per cui abbiamo pace, è venuto su di lui.» Poi fu deposto nella tomba, una tomba scavata nella roccia. All'entrata del sepolcro venne posta una grande pietra, e per avere la massima sicurezza il procuratore romano vi fece apporre i suoi sigilli e mise a guardia dei legionari coraggiosi e forti.
Essi avevano combattuto in tutti i paesi del mondo, in Gallia (l'odierna Francia), in Germania, in Asia e in Africa, erano coperti di cicatrici.
Essi dunque erano lì, all'alba del terzo giorno, lo scudo sul braccio, la lancia nella mano destra, l'elmo in testa. Uno di loro montava la guardia. Ci si poteva fidare. All'improvviso brillò una gran luce. La Bibbia dice che «un angelo dal cielo rotolò via la pietra.» E Gesù uscì dalla tomba! Fu un evento talmente formida- bile che i legionari svennero. Un paio d'ore più tardi Gesù incontrò una povera ragazza. La Bibbia dice che aveva avuto sette demoni che Gesù aveva scacciato. Piangeva quando Gesù le si avvincinò.
Ma lei non svenne. Al contrario! Fu felice di riconoscere il Signore Gesù risuscitato, ed esclamò: «Maestro!» E' consolata perché sa che «Gesù, il buon pastore, è vivo ed è vicino a me.» Vedete, anche per questo voglio avere Gesù: ho bisogno di qualcuno cui stringere la mano. La vita mi ha gettato in abissi molto profondi. A motivo della mia fede sono stato rinchiuso nelle prigioni naziste. Ci sono stati momenti durante i quali ho pensato: «Ancora un passo ed entrerò nell'oscuro regno della follìa, senza possibilità di ritorno.» Ma allora arrivava Gesù e tutto si metteva a posto. Questa è stata la mia esperienza personale.
In carcere, una volta, passai una serata durante la quale si scatenò l'inferno. Era giunto un convoglio di detenuti che dovevano essere trasferiti al campo di concentramento, gente che non aveva più speranza, in parte criminali, in parte innocenti ed ebrei. Un sabato sera, queste persone furono prese dalla disperazione, tutti gridavano e tempestavano di pugni le pareti e le porte. Le guardie, innervosite, sparavano colpi in aria e correvano qua e là picchiando, lo stavo seduto nella mia cella e pensavo: «L'inferno deve essere proprio così.»
E' difficile descriverlo, ma improvvisamente mi colse un pensiero: «Gesù è qui.» Credetemi!
Vi sto raccontando quello che effettivamente ho vissuto. Dissi molto dolcemente, sottovoce, nella mia cella: «Gesù! Gesù! Gesù!» Nel giro di tre minuti ritornò la calma. Capite? Lo chiamai, nessun altro mi poteva sentire, soltanto lui, e i demoni dovettero allontanarsi!
Allora mi misi a cantare ad alta voce, benché fosse assolutamente proibito:
Gesù, mia gioia, conforto del mio cuor, Gesù mia dolcezza, meraviglioso ognor.
Il mio cuore in difficoltà, l'aiuto tuo riceverà.
Tutti i prigionieri udirono. Le guardie non dissero nulla, io continuai a cantare ad alta voce:
Tremi pur la terra, di tempesta e guerra, Gesù è vicino a me.

Sì, amici, così sperimentai cosa significhi avere un Salvatore vivente.
Come ho già detto, tutti noi dovremo un giorno attraversare una grande angoscia, l'angoscia della morte. Una volta qualcuno mi ha rimproverato: «Voi pastori fate sempre paura alla gente con lo spauracchio della morte.» Ho risposto: «Non c'è bisogno che sia io a provocare la paura della morte, perché tutti ne abbiamo paura.» Ma quale differenza quando si può stringere in quel momento la mano del buon Pastore! Qualcuno obietterà giustamente che l'uomo d'oggi teme più la vita che non la morte, che la vita è terribile, peggiore della morte stessa. Eppure c'è anche questo, amici miei: un Salvatore che ci aiuta a vivere.
Devo raccontarvi ancora un episodio che ho citato spesso.
Sembra incredibile, ma è vero. A Essen conoscevo un industriale, una persona che era sempre di buon umore. Un giorno mi disse: « Signor pastore, è bello esortare i giovani al bene. Eccole qui cento marchi per il suo lavoro.»
E io gli dissi:« Beh, e come va con lei?»
«Non parliamone, signor pastore. Lei sa bene che ho la mia propria visione del mondo...»
Capitemi bene, era un brav'uomo, è vero, ma lontano da Dio quanto la luna dalla stella polare.
Un giorno celebravo un matrimonio, cosa spesso poco gioiosa nelle nostre grandi chiese austere. Ecco gli sposi accompagnati da una decina di persone. Seduti là, hanno l'aria un po' smarrita in quel grande edificio. E proprio il mio gioviale amico industriale era testimone.
Il pover'uomo mi faceva veramente pena.
In un elegante frac, col cilindro in mano, non sapeva proprio come comportarsi.
Si vedeva chiaramente che stava lì a domandarsi: «Adesso mi devo inginocchiare?
Forse devo fare un segno della croce. Ma cosa devo fare?»
Cercai di aiutarlo un po', gli tolsi il cilindro di mano e lo posi su un banco. Poi si cantò un inno.
Lui naturalmente non ne aveva la minima idea, ma finse di cantare con gli altri. Riuscite a immaginarvelo?
Un uomo sempre a proprio agio nei circoli mondani.
Ma all'improvviso accadde qualcosa di notevole. La sposa era stata monitrice alla scuola domenicale, così a un certo punto della cerimonia, dall'alto della tribuna una trentina di bambine cominciarono a cantare un inno.
Con le loro dolci vocine cantarono quel semplicissimo canto per bambini che forse conoscete anche voi: Sono una pecorella di Gesù, e son contenta sempre più, d'appartenere al buon Pastore...
Allora guardai quell'uomo: «Cosa gli succede? Si sente male?»
Era crollato, si copriva la faccia con le mani e tremava. Pensai fra me: «Gli è successo qualcosa. Devo chiamare un medico!» Ma poi notai che piangeva a dirotto.
Le bambine continuavano a cantare.
...al buon Pastore, che ha cura di me, che mi ama e mi conosce e per nome mi chiama.
col suo bastone leggero mi guida, mi conduce, e mi porta alla sua luce...

L'uomo, il grande industriale, seduto al suo posto piangeva.
Improvvisamente afferrai che cosa era accaduto in quella chiesa spoglia. Quell'uomo l'aveva compreso: »Queste bambine hanno quello che io non ho: un buon Pastore, lo invece sono solo e perduto.»
Questo vale anche per voi, vale per tutti.
Non potete desiderare niente di meglio per la vita, di quanto queste bambine cantavano: «Sono felice di appartenere al gregge di Gesù e di averlo come buon Pastore e Salvatore.»
Non è possibile desiderare di più.
Fate in modo di poter dire anche voi queste parole.
Perché credo in Gesù?
Perché è lui il buon Pastore, il migliore amico, il mio Salvatore vivente.

Tratto dal libro: Gesù nostro destino di Wilhelm Busch
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Inviato da Gianni57 il

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