Perche un sito evangelico dovrebbe ospitare queste informazioni? Puro e semplice anticattolicesimo?
Assolutamente no. Le info qui riportate e che via via nel corso della vita ho incontrato, letto, meditato in merito alla storia della IOR sono qui postate con lo scopo di dimostrare, per quanto mi è possibile, di come la struttura cattolica sia, nelle sue molteplici sfaccettature, fallibile. Corruttibile come ogni istituzione umana.

Fallibile, quindi, può esserlo anche in materia di dottrina. Un invito, quindi, ai cattolici che amano Dio ad esaminare bene come stanno le cose, utilizzando la Bibbia. Infatti in gioco c'è il destino della vita eterna. Affidare, perciò, la propria salvezza non ad una religione, o ad un cambio di religione, ma a Gesù. Qui un messagio importante al riguardo.

Cos'è la IOR?

Lo IOR è la banca centrale dello Stato Vaticano, come lo è per esempio la Banca d'Italia,  ed è allo stesso tempo riconosciuto come un istituto di credito ordinario.
E' stato creato nel 1941 da PIO XII con la funzione di amministrare i capitali degli ordini religiosi, degli istituti religiosi maschili e femminili, delle diocesi, delle parrocchie e degli organismi vaticani di tutto il mondo.
E' una banca molto particolare, infatti non ha sportelli, in compenso ha molti clienti. Lo IOR è stato e continua ad essere molto ambito per chi possiede capitali che vuol far passare "inosservati".
I suoi bilanci sono noti solo al Papa e a tre cardinali. Lo IOR è il centro di una organizzazione mondiale di banche controllate dal Vaticano. Molto semplice è, attraverso lo IOR, qualsiasi trasferimento di denaro senza limiti ne' di quantità né di distanza, con la garanzia della assoluta riservatezza.
Per molto tempo a capo dell'Istituto e' stato Paul Marcinkus, cardinale coinvolto in numerosi scandali.
 
 
l'arcivescovo Paul Marcinkus
 
Nello Ior possono movimentare capitali solo appartenenti al clero o laici interni al piccolo stato cattolico.
 

Tratto dal libro: Vaticano SpA
video

alex

Uno scandalo scuote la banca del Vaticano. 'Corruzione e truffa' le accuse rivolte ai tre

Un alto prelato, un funzionario dei Servizi segreti ed un broker finanziario sono stati arrestati nell' ambito di un filone di indagine sullo Ior in corso alla procura della Repubblica di Roma.

L'alto prelato, il funzionario dei Servizi segreti ed il broker finanziario sono stati arrestati questa mattina da militari del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, con le accuse di corruzione e truffa. L'indagine - è stato ribadito - nasce come filone autonomo della più ampia inchiesta sullo Ior.

Non si conoscono, per ora, i fatti specifici addebitati ai tre arrestati. I provvedimenti, dopo le indagini svolte dal nucleo valutario della Gdf, sono stati chiesti dalla procura di Roma. Le richieste sono state accolte dal gip della capitale, Barbara Callari.

Fonte: ANSA

alex

Dalle dimissioni di Papa Ratzinger ai presunti scandali vaticani: Maurizio Crozza ci parla degli avvenimenti che stanno destabilizzando il mondo cattolico.

Certamente uno Sketch divertente, eppure.. triste realtà, deve raccontarcela un comico....



alex

Via libera alla nomina: sarebbe un banchiere belga. L'azienda di consulenza Spencer e Stuart incaricata di selezionare un profilo

Potrebbe essere il primo atto dell'interregno inedito fra Benedetto XVI e il successore. «È possibile che nei prossimi giorni ci sarà la nomina del presidente dello Ior», ha annunciato ieri il portavoce della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. L'indicazione è generica, ma in realtà il Papa avrebbe sottoscritto formalmente la scelta ieri sera. Si tratterebbe di un banchiere belga, il cui nome girava da una decina di giorni; e che arriverà dunque prima del 28 febbraio, giorno per il quale il Papa ha annunciato le proprie dimissioni; e a partire dal quale anche il vertice del «governo» vaticano sarà dimissionato.

Significa che il pontefice eletto dal prossimo Conclave non avrà il problema di cercare un nuovo capo della «banca del Papa», come viene chiamato da tutti l'Istituto per le Opere di Religione. Lo aveva fatto capire il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, parlando di una scelta condivisa e attesa da tempo. Sul secondo aspetto, è difficile dargli torto. Lo Ior non ha un presidente dal 26 maggio del 2012, quando Ettore Gotti Tedeschi, fra l'altro rappresentante in Italia del gruppo bancario spagnolo Santander, fu sfiduciato all'unanimità e con parole ruvide.

E in questi mesi, non è stato sostituito perché, secondo la versione ufficiosa, la struttura si era dimostrata abbastanza capace da reggere anche senza una figura di vertice. Ma a questo punto affiora qualche contraddizione tra la tesi dell'autosufficienza del consiglio d'amministrazione, e la volontà di togliere un'enorme castagna dal fuoco al successore di Benedetto XVI. Si sa che per trovare il profilo giusto, il Vaticano si è rivolto ai «cacciatori di teste» della Spencer & Stuart di Francoforte, una delle aziende di consulenza più prestigiose.
Ma il tocco internazionale non cancella la sensazione sgradevole di una nomenklatura ecclesiastica che mentre il Papa annuncia le dimissioni, si preoccupa di riempire le ultime caselle del potere: quasi avesse il presentimento che «dopo» non sarà più possibile.

 

E comunque, se per quasi nove mesi non si è avvertita la necessità di nominare nessuno, perché farlo senza aspettare l'arrivo del nuovo pontefice? Può sembrare un'obiezione capziosa, sollevata da chi non perdona al «primo ministro» di Josef Ratzinger di avere accentrato il potere finanziario della Santa Sede nelle sue mani; e di avere infilato il Vaticano in operazioni grandiose ma un po' arrischiate, come il tentativo di salvataggio dell'ospedale San Raffaele, con l'ambizione alla fine frustrata di creare un grande «polo sanitario» cattolico. Al di là dei sospetti di strumentalità, più che plausibili, da parte di Bertone e dei suoi alleati, rimane tuttavia il mistero di una fretta improvvisa destinata a mettere il prossimo Papa davanti ad un fatto compiuto; e su uno dei temi più delicati che hanno segnato gli otto anni di pontificato tedesco. Il problema non riguarda naturalmente la persona designata, che sarebbe di nuovo un non italiano dopo molti anni dalla sua fondazione, voluta da Pio XII nel 1942, in piena seconda guerra mondiale.

A lasciare interdetto qualche cardinale, e non solo, è la scelta dei tempi. L'impressione, infatti, è che sotto traccia ci si stia ponendo da tempo il problema del destino dell'Istituto. Si è parlato di un possibile cambio di nome, per cancellare ombre lunghe decenni e disseminate di scandali e misteri; e che lo fanno apparire, anche con qualche esagerazione, un «marchio negativo» per l'immagine della Santa Sede. Qualcuno è arrivato a ipotizzare che nel dopo-Ratzinger la Santa Sede potrebbe rivedere completamente un modo di operare nel mondo finanziario che le ha dato vantaggi ma anche creato un alone di opacità e di spregiudicatezza.

Un banchiere ricordava di recente un incontro di tanti anni fa con l'allora segretario di Stato vaticano, il cardinale Agostino Casaroli. Fu una discussione franca, come si dice in questi casi, su quello che lo Ior doveva essere o diventare; e perfino sul nome, ritenuto inappropriato dal banchiere perché, a suo avviso, non sembrava avere come obiettivo le «opere di religione». Casaroli ascoltò, forse annuì anche. Ma le cose, almeno all'apparenza, non sono cambiate in modo sostanziale. È vero che i dubbi più pesanti sono stati parzialmente chiariti quando nel luglio scorso il Vaticano ha ottenuto una promozione con riserva da parte di Moneyval: il comitato di esperti di antiriciclaggio e antiterrorismo, emanazione del Consiglio d'Europa, che valuta gli standard di affidabilità internazionale degli Stati attraverso il modo di operare delle sue banche.

Quel «placet» ha ridimensionato un po' le polemiche sul grado di trasparenza dello Ior, alimentate dallo scontro conclusosi nel maggio scorso. E ha ridato corpo all'idea di una metamorfosi dell'Istituto, tale da incontrare l'approvazione della comunità finanziaria globale. Si è parlato di «patti lateranensi del XXI secolo», intendendo accordi stipulati non più solo con singoli Stati, ma appunto con le istituzioni sovranazionali di garanzia. L'operazione sta avendo risultati controversi, però. Le indagini della magistratura italiana che da un paio d'anni si sono concentrate su alcuni movimenti finanziari sospetti, e le frizioni con una Banca d'Italia che richiama al rispetto delle norme valutarie europee, simboleggiano una metamorfosi ancora da perfezionare.

L'ultimo incidente, piccolo ma fastidioso, e soprattutto costoso per le casse vaticane, è stato il blocco, durante le vacanze di Natale, dei pagamenti elettronici tramite carte di credito e Pos (points of sale), i «punti di vendita»: un ostacolo superato solo nelle ultime ore, quando lo Ior ha aggirato l'ostacolo ricorrendo ad una società svizzera specializzata in pagamenti elettronici e non soggetta alle restrizioni imposte dall'Unione europea contro il riciclaggio. D'altronde, se la Santa Sede non lo avesse fatto avrebbe perso, secondo calcoli per difetto, circa trentamila euro al giorno. La scappatoia, però, non garantisce rapporti migliori con Bankitalia e magistratura.

E, abbinata alle tensioni che covano sulle nomine al vertice dello Ior e agli scandali che lambiscono altre organizzazioni cattoliche, rischia di avere riflessi immediati dentro le cosiddette «Sacre Mura». Basti pensare ai dipendenti dell'Istituto dermatologico Italiano (IDI) di Roma che ieri protestavano davanti alla sede della Cei, perché non vengono pagati da mesi per la gestione disastrosa dell'ospedale, affidata a un religioso. Oppure i milioni di euro persi dai Salesiani in una contesa seguita ad un lascito ereditario. I soldi galleggiano come una minaccia di ulteriori divisioni e scambi di accuse in un mondo traumatizzato dall'«abdicazione» papale.

Il timore che l'uscita di scena di Benedetto XVI possa riaccendere e fare esplodere contrasti mai sopiti del tutto è concreto. Le immagini che accompagnano l'uscita di scena al rallentatore, lunga sedici giorni, del pontefice, sono perfino commoventi. Tv2000 , la televisione dei vescovi italiani, accompagna ogni gesto del pontefice dimissionario, come si fa con un personaggio che sta per dissolversi. E si mostrano folle commosse di fedeli che lo salutano mentre attraversa sull'automobilina elettrica, stanco e emaciato, la navata della basilica di San Pietro. Ma è lo stesso Ratzinger che sempre ieri ha evocato una situazione segnata da conflitti latenti.
«Le divisioni ecclesiali deturpano la Chiesa. Bisogna superare le rivalità», ha detto alle 3500 persone presenti nell'aula Paolo VI.

Ma si capiva che in realtà stava parlando a quella «classe dirigente» di religiosi, incapace di offrire, ormai da tempo, un'immagine di unità e di concordia; e che, nonostante l'insistenza accorata con la quale il pontefice dimissionario ripete di avere compiuto la scelta di fare un passo indietro «in piena libertà», continua a essere indicata come una delle cause della sua decisione senza precedenti. Così, grazie ai «cacciatori di teste» il Vaticano è riuscito a risolvere il rebus del vertice dello Ior, al netto delle polemiche in incubazione. Ma per la scelta di un pontefice che risollevi le sorti della Chiesa, occorrerà molto di più.

Fonte: Corriere della Sera

alex

Il sospetto della presunta tangente Mps transitata sui conti dello Ior è l’ultimo episodio che coinvolge la banca vaticana sotto il pontificato di papa Ratzinger, durante il quale si è consumata una lotta di potere per rendere più trasparenti le sue norme in materia di riciclaggio. Una lotta che il Papa ha perso.

Sono passati quasi otto anni dall'omelia di inizio pontificato di Benedetto XVI, ma le mura del Torrione Niccolò V, sede dello Ior, l'Istituto per le opere di religione, rimangono impenetrabili. Spesso chi vuole nascondere dei capitali sceglie di depositarli nei forzieri della banca vaticana. Fino a un paio di anni fa, racconta un testimone oculare a Linkiesta, i funzionari dello Ior adducevano ogni scusa possibile (la stampante che non funziona, la linea telefonica in riparazione) per non fornire alle autorità italiane i dati sui movimenti sospetti. Né la gendarmeria vaticana è stata particolarmente attenta a richiedere la dichiarazione doganale di esportazione di denaro all'estero per importi superiori a 10mila euro, in alcuni casi compilata in matita. 

Proprio nei giorni scorsi un supertestimone ha raccontato ai pm Nello Rossi, Stefano Fava e Stefano Pesci l'apertura, nel 2009, di quattro conti riferibili a dirigenti del Monte dei paschi presso la filiale Ior della Banca del Fucino di via Tomacelli a Roma, attraverso i quali sarebbe transitata parte dei soldi dell'acquisizione di Antonveneta. Un'eventualità smentita seccamente dal portavoce della sala stampa vaticana, Padre Federico Lombardi. Più difficile da dissipare l'alone di mistero che avvolge la banca vaticana dai tempi del crac del Banco Ambrosiano e del conto "Omissis" di Giulio Andreotti. Ci aveva provato due anni fa l'ex presidente Ettore Gotti Tedeschi, che da vent'anni cura gli interessi del Santander in Italia - la banca spagnola che cedette per 9,3 miliardi l'istituto padovano a Mps - con l'introduzione dell'Aif, l'autorità di vigilanza finanziaria presieduta dal cardinal Attilio Nicora , già presidente dell'Amministrazione del patrimonio della Santa Sede. Lo scatto in avanti che avrebbe consentito allo Stato della Città del Vaticano di entrare nella white list dei Paesi Ocse in materia di norme antiriciclaggio. 

Il percorso era iniziato il 17 dicembre 2009, quando il presidente della Commissione Europea Joaquin Almunia, allora Commissario agli Affari economici e l'arcivescovo André Dupuy, nunzio apostolico presso l'Unione europea, siglarono l'intesa con cui il Vaticano adottava l'euro, concordando l'impegno, da parte del Vaticano, a conformarsi alla normativa comunitaria antiriciclaggio. Il nuovo corso subì un'accelerazione per volontà dello stesso Ratzinger, che firmò la legge 127 Motu Proprio del 2010. Ma poi arrivò una progressiva frenata, fino a quando, il 26 maggio 2012, Gotti Tedeschi venne sfiduciato dal Consiglio di sovrintendenza, l'organo di gestione dello Ior.

L'uscita forzata del banchiere piacentino - «Tutto è cominciato quando ho chiesto di avere notizie sui conti che non erano intestati ai prelati» ha scritto Gotti Tedeschi nel suo memoriale - va letta anche alla luce della ridefinizione degli equilibri all'interno della Curia romana, in seguito allo scandalo Vatileaks, che portò all'arresto dell'ex maggiordomo Paolo Gabriele, poi graziato.

L'inchiesta della Procura di Milano sul crac dell'Ospedale San Raffaele aggiunge un altro scossone. Alla fine del 2010, don Luigi Verzè, fondatore e padre-padrone del San Raffaele e grande amico di Silvio Berlusconi, è ormai vecchio e malato. E non sa più come sostenere il peso dei debiti accumulati con mirabolanti piani di espansione (e sprechi). Il San Raffaele ha accumulato un miliardo e mezzo di debiti, i creditori cominciano a spazientirsi. Si scopre che nel quinquennio 2005-2010 don Verzè ha varato investimenti per 600 milioni a fronte di un business ospedaliero che genera 379 milioni di liquidità. Una mala gestione che polverizza ben 3,3 miliardi erogati dal pubblico, Regione Lombardia in testa, alla struttura ospedaliera di via Olgettina. Due uomini vicini vicini al movimento di Comunione e Liberazione, l'ex assessore alla Sanità lombarda Antonio Simone e il faccendiere Pierangelo Daccò finiscono nei guai. Si scopre che si sono spartiti, come ricostruito dall'Espresso, 30 milioni di euro in consulenze al San Raffaele, alla Fondazione Maugeri e al Fatebenefratelli. 

In questa vicenda si inserisce il cardinal Bertone, presidente della commissione cardinalizia dello Ior, che spinge perché la cordata composta dallo Ior e dalla famiglia genovese dei Malacalza -  con la regia del bertoniano Giuseppe Profiti, presidente dell'Ospedale - intervenga nel salvataggio del San Raffaele, su cui c'è l'interesse dellimprenditore della sanità privata Giuseppe Rotelli, proprietario di ospedali e cliniche. Si vagheggia un polo degli ospedali cattolici, e questo mentre molti ospedali cattolici versano in uno stato di crisi finanziaria da malagestione. La Curia milanese, guidata dall'arcivescovo Angelo Scola, già patriarca di Venezia, e il mondo di Cl danno segno di non gradire l'espansione vaticana in terra ambrosiana. Ma anche Gotti Tedeschi, da presidente della banca vaticana, si oppone: non vuole che allo Ior si crei un pericoloso precedente in stile "banca d'affari". Così la cordata voluta da Bertone, che inizialmente aveva messo sul tavolo 250 milioni e ha gestito la transizione, è costretta a farsi da parte, senza rilanciare sull'offerta di 405 milioni avanzata da Rotelli. 

A inizio 2012 è sempre Bertone, come rivelano i verbali interni pubblicati dal Fatto Quotidiano, a promuovere la linea non collaborazionista dell'Aif. Soprattutto sulla retroattività dei poteri ispettivi dell'organo di vigilanza. La presa di posizione del segretario di Stato vaticano snaturò l'impianto iniziale della normativa, scritta nell'aprile 2011 da Francesco De Pasquale avvocato cassazionista e da Marcello Condemi, docente all'Università Guglielmo Marconi di Roma. Ambedue sono o sono stati membri della delegazione italiana del Fatf, l'organismo internazionale che detta le linee guida in materia di antiriciclaggio. La nuova versione, che circoscrive i poteri ispettivi, viene criticata dal cardinal Nicora. «La nuova versione riforma in toto l'assetto istituzionale del sistema antiriciclaggio, ridefinendo compiti e ruoli dell'Autorità. Dall'esterno, anche se erroneamente, potrebbe essere visto come un passo indietro», disse il capo dell'Aif. La mossa non piacque nemmeno agli ispettori di Moneyval, l'organismo comunitario che monitora il rispetto dei sistemi internazionali antiriciclaggio, che a luglio scorso aveva promosso gli sforzi del Vaticano, ma con riserva sull'effettività del sistema, e in particolare sulla «base legislativa della vigilanza». 

Dal canto suo, il governatore della Bankitalia, Ignazio Visco, ha ingaggiato una vera e propria guerra per rendere trasparenti i conti della Santa Sede. È l'Unità di informazione finanziaria, l'intelligence finanziaria italiana che opera in forma autonoma sotto la Banca d'Italia, a individuare i 23 milioni depositati da anonimi su un conto aperto dallo Ior presso la sede romana del Credito Artigiano. I soldi erano diretti alla J.P. Morgan di Francoforte e alla Banca del Fucino. Per questa vicenda sono stati indagati l'allora presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il direttore generale Paolo Cipriani. Alle rogatorie della Procura di Roma, che conduce l'inchiesta, il Vaticano non ha mai risposto. Dal canto suo, il governatore della Bankitalia, Ignazio Visco, ha ingaggiato una vera e propria guerra per rendere trasparenti i conti del Vaticano. 

A inizio 2013 è sempre la Banca d'Italia a imporre uno stop a Deutsche Bank Italia (banca di diritto italiano controllata dal gruppo tedesco) ad operare all'interno del Stato del Vaticano attraverso un sistema di pagamenti elettronici (bancomat). L'autorizzazione, chiesta solo nel 2012, è stata negata da Bankitalia. Anche in questo caso il motivo sarebbe legato al possibile lavaggio di soldi sporchi.

Dallo Ior passarono anche le presunte tangenti pagate da Diego Anemone per lisciare l'allora capo della protezione civile, Guido Bertolaso, in cambio di una corsia preferenziale negli appalti per il G8. È la vicenda della "cricca", che coinvolge Don Evaldo Biasini, economo della Congregazione del Preziosissimo sangue. Biasini è risultato titolare di 13 conti allo Ior e faceva da cassiere informale di Anemone. Nel caso è stato coinvolto anche l'ex provveditore ai Lavori pubblici del Lazio Angelo Balducci, amico del cerimoniere pontificio monsignor Francesco Camaldo, per quindici anni segretario particolare del vicario di Roma, il cardinale Ugo Poletti. Secondo gli inquirenti fu proprio Camaldo a fare da intermediario tra Balducci, Anemone e lo Ior. La vicenda, siamo nel 2010, si interseca con l'inchiesta aperta allora dalla Procura di Perugia sulla Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli (la Propaganda Fide), che gestice un patrimonio immobiliare  significativo. E Balducci è anche membro del comitato saggi della Congregazione.

L'ultima tegola è la presunta tangente Mps, che sembra essere transitata su conti aperti allo Ior. Arriva a quattro mesi dalla nomina di René Bruelhart, quarantenne avvocato svizzero di Friburgo, a superconsulente vaticano «di tutte le questioni relative all'antiriciclaggio e per la lotta al finanziamento del terrorismo». Una figura strategica anche per un altro motivo. Bruelhart è a capo della Delegazione del Liechtenstein presso Moneyval. A parole, lo 007 elvetico ha promesso pulizia, ma finora, spiegano i ben informati, ha agito con estrema cautela. Forse troppa. La linea della trasparenza di papa Ratzinger è stata sconfitta sotto le mura del Torrione che ospita lo Ior. Il successore di Benedetto XVI dovrà passare anche da qui «per governare la barca di Pietro». 

Fonte: http://www.linkiesta.it/ior-misteri-ratzinger

alex

Vaticano blocco bancomat scaturito da inchiesta procura romana sullo Ior

Lo stop imposto dalla Banca d'Italia ai pagamenti Pos e con carta di credito dopo la segnalazione di piazzale Clodio su presunte attività di riciclaggio legate a operazioni avviate dalla banca della Santa Sede 

E' scaturita da una segnalazione della procura di Roma, nell'ambito dell'inchiesta su presunte attività di riciclaggio legate ad operazioni avviate dallo Ior, la banca della Santa Sede, lo stop imposto dal primo gennaio dalla Banca d'Italia ai pagamenti Pos e con carta di credito in Vaticano. Lo si apprende a piazzale Clodio.

bancomat

La negazione, da parte di palazzo Koch a partire dal 6 dicembre scorso, dell'autorizzazione a Deutsche Bank Italia, presso la quale sono trasferite gran parte delle attività finanziarie dello Ior, ad operare con servizi di pagamento in Vaticano è avvenuta per assenza dei presupposti giuridici. In particolare, per l'assenza, presso lo Stato della Città del Vaticano, di una legislazione bancaria e finanziaria e di un sistema di vigilanza prudenziale, ulteriori rispetto a quelli in materia di anti-riciclaggio.

L'inchiesta della procura di Roma sulle presunte attività antiriciclaggio riconducibili ad operazioni dell'Istituto per le opere di religione, è affidata al pm Stefano Rocco Fava. Lo sviluppo più eclatante fu, nel settembre 2010, il maxisequestro di 23 milioni di euro, ritenuti dagli inquirenti oggetto di una movimentazione caratterizzata da omissioni punite dalle norme antiriciclaggio. Un caso che vede ancora coinvolti l'ex presidente Ettore Gotti Tedeschi e l'allora direttore generale Paolo Cipriani. 

Fonte: Repubblica

alex

Art. 2

Scopo dell'Istituto è di provvedere alla custodia e all'amministrazione dei beni mobili ed immobili trasferiti od affidati all'Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione e di carità.

L'Istituto pertanto accetta beni con la destinazione, almeno parziale e futura, di cui al precedente comma. L'Istituto può accettare depositi di beni da parte di Enti e persone della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano.

Fonte:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/letters/1990/documents/h…

alex

Tre anni e molti nemici: ecco il perché del benservito
Gotti Tedeschi: "Preferisco non parlare, direi solo brutte parole"

Citta' del vaticano

«Preferisco non parlare, altrimenti dovrei dire solo brutte parole. Abbiate pazienza». La sfiducia che ha portato all’uscita di scena di Ettore Gotti Tedeschi dallo Ior dopo neanche tre anni di presidenza, è giunta improvvisa ma erano mesi che il banchiere aveva preso in considerazione la possibilità delle dimissioni. Fin dai giorni dell’inchiesta della magistratura romana sulla movimentazione di denaro in alcuni conti dello Ior da banche italiane a banche tedesche, Gotti aveva scelto di collaborare direttamente con i magistrati. Quella vicenda era stata l’inizio delle incomprensioni con il direttore generale dell’Istituto, Paolo Cipriani. In quella occasione Gotti, sottoposto a indagine dai Pm, ricevette un pubblico sostegno da parte di Benedetto XVI che lo salutò dopo un Angelus a Castel Gandolfo ricevendolo insieme alla moglie. «Dobbiamo essere esemplari» aveva ripetuto il Pontefice. E il nuovo presidente, scelto dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone, aveva continuato il processo di rinnovamento e trasparenza già in atto, chiudendo i conti correnti «in sonno» intestati a prestanome.

Tra le persone con le quali si era scontrato Gotti Tedeschi c’era Marco Simeon, l’attuale direttore di Rai Vaticano legato al faccendiere Luigi Bisignani. L’estate scorsa lo Ior era stato coinvolto nell’operazione di salvataggio dell’ospedale San Raffaele di Milano, voluta dal cardinale Bertone e auspicata da diversi uomini della finanza e della politica milanese. Gotti Tedeschi, inizialmente favorevole, si era poi convinto del contrario ritenendola un’avventura pericolosa, e si era scontrato con Giuseppe Profiti, manager dell’ospedale Bambin Gesù e uomo di Bertone nel mondo della sanità. Pure rapporti con il cardinale Segretario di Stato si erano progressivamente raffreddati, anche se negli ultimi tempi si è registrato un miglioramento.

Ma il punto di non ritorno per Gotti Tedeschi è stata la nuova legge sulla trasparenza che doveva portare il Vaticano nella «white list» dei Paesi virtuosi in materia di antiricilaggio. Il presidente dello Ior, d’accordo in questo con il cardinale Attilio Nicora, riteneva che le modifiche apportate fossero troppe e soprattutto che venisse ridimensionato il ruolo dell’Aif, l’organismo di controllo istituito con la precedente normativa. Dove stia la ragione saranno gli esperti di Moneyval a sancirlo il prossimo luglio, quando si conoscerà il rapporto finale sull’adeguamento della Santa Sede alle normative internazionali. Dietro la sfiducia di ieri, Gotti Tedeschi vede una sorta di regolamento di conti. Motivato dalle sue posizioni prese nel corso dell’ultimo anno da un uomo sempre più isolato Oltretevere, che aveva però mantenuto sempre aperto un collegamento con il segretario particolare del Pontefice, don Georg Gänswein.

Fonte: La Stampa

 Oltretevere
"Trame oltretevere"

alex

Norme antiriciclaggio: Ior, ecco le carte
che inchiodano il Vaticano sulla trasparenza

In una lettera il cardinale Nicora, capo dell'Autorità di Informazione Finanziaria della Santa Sede, lancia l'allarme: "Con la nostra ultima legge facciamo un passo indietro e resteremo un paradiso fiscale". Il documento inviato a Gotti Tedeschi e alla Segreteria di Stato

 Altro che trasparenza, altro che collaborazione, altro che volontà di fornire tutte le informzioni a chi indaga. Il Vaticano non ha alcuna intenzione di attuare gli impegni assunti in sede europea per aderire agli standard del Comitato per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali (MONEYVAL) e non ha alcuna intenzione di permettere alle autorità antiriciclaggio vaticane e italiane di guardare cosa è accaduto nei conti dello IOR prima dell’aprile 2011. A scriverlo nero su bianco sono le due massime autorità in materia dentro le mura leonine: il cardinale Attilio Nicora (ex presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e ora presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria del Vaticano, l’AIF) e il professor Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale della Città del Vaticano.

Il Fatto Quotidiano è entrato in possesso di due documenti riservati, da loro redatti, che raccontano qual è, al di là dei comunicati della sala stampa, la vera politica della Santa Sede sul fronte antiriciclaggio. Una politica che nei fatti somiglia a quella di uno dei tanti paradisi fiscali del mondo. Il primo documento è firmato dal presidente del Tribunale Vaticano Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, professore di diritto e magnifico rettore della Lumsa (Libera Università MAria Ss Assunta) oltre che membro del consiglio direttivo dell’AIF. Si tratta di un parere legale richiesto dalla Segreteria di Stato alla massima autorità consultiva in materia giuridica nel Vaticano. In pratica il cardinale Tarcisio Bertone chiedeva a Dalla Torre di stabilire quale fosse la giusta interpretazione da dare alla nuova normativa antiriciclaggio introdotta da Papa Benedetto XVI nel dicembre del 2010 ed entrata in vigore nell’aprile scorso.

Come Il Fatto ha raccontato, nel Vaticano si erano distinte due linee diverse: la prima, sostenuta dal direttore generale dell’AIF, l’avvocato Francesco De Pasquale, puntava a spingere la banca vaticana, lo IOR, a collaborare con le autorità antiriciclaggio interne (AIF) e a fornire tutte le informazioni richieste dalla giustizia italiana, anche sui fatti precedenti all’aprile del 2011. La seconda linea, sostenuta invece dall’avvocato Michele Briamonte dello studio Grande Stevens di Torino, invece sosteneva che l’AIF non avesse quei poteri di ispezione sui movimenti bancari precedenti all’aprile del 2011. Ovviamente la lotta di potere tra AIF e IOR, la disputa tra De Pasquale e Briamonte, aveva un riverbero immediato nei rapporti tra Stati. Solo se avesse vinto la linea “collaborativa” dell’AIF le autorità giudiziarie e bancarie italiane sarebbero state in grado di mettere il naso (tramite il cavallo di Troia dell’AIF) nei segreti dello IOR. Altrimenti le indagini italiane in corso si sarebbero arenate.

Il Fatto aveva pubblicato il 31 gennaio scorso un documento riservato (“Memo Ior-AIF”) dal quale si comprendeva che stava vincendo la linea “non collaborativa” e che il presidente dello IOR e dell’AIF avevano tentato di coinvolgere il Segretario di Stato Tarcisio Bertone e il segretario del Papa, George Gaenswein, per convincere il Governo Vaticano a collaborare con l’autorità giudiziaria italiana. Sul memo si leggeva: “L’AIF (….) ha inoltrato allo Ior alcune richieste di informazioni relative a fondi aperti presso l’Istituto, cui quest’ultimo ha corrisposto, consentendo tra l’altro lo sblocco dei fondi sequestrati dalla Procura di Roma (….) Ultimamente, tuttavia la Direzione dell’Istituto ha ritenuto di riscontrare le richieste dell’Aif – relative ad operazioni sospette o per le quali sono in corso procedimenti giudiziari – fornendo informazioni soltanto su operazioni effettuate dal primo aprile 2011 in avanti”. Quando quel documento rivelato dal Fatto era stato ripubblicato 8 giorni dopo da La7 in tv, la Santa Sede aveva finalmente emanato un comunicato per smentire che il Vaticano non intendesse fornire informazioni bancarie sui movimenti precedenti all’aprile del 2011. “Non emerge la resistenza dello IOR a collaborare in caso di indagini o procedimenti penali su fatti precedenti al primo aprile 2011″.

Il parere di Dalla Torre dimostra il contrario e spiega perché i magistrati della Procura di Roma non stanno ricevendo le informazioni né per via di rogatoria, come raccontato in tv dal pm Luca Tescaroli, né tramite l’AIF, come è successo nel caso dei pm Nello Rossi e Stefano Fava che indagano il presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi e il direttore generale Cipriani per violazione delle norme in materia di antiriciclaggio. Il parere di Dalla Torre dimostra che si tratta di una scelta voluta. Alla domanda di Bertone, se lo IOR debba rispondere all’AIF anche per le operazioni avvenute prima dell’aprile del 2011, la risposta del presidente del Tribunale è infatti un no tondo: la legge “non permette all’AIF l’accesso alle operazioni e ai rapporti intercorsi prima dell’entrata in vigore della legge”.

Esattamente l’opposto di quanto affermato nel comunicato della sala stampa della Santa Sede del 9 febbraio. Il parere di Dalla Torre risale al 15 ottobre del 2011 e delinea la linea che poi sarà attuata nel decreto del Presidente del Governatorato Vaticano del 25 gennaio scorso. Il decreto dell’arcivescovo Bertello, priva l’AIF dei poteri di ispezione, rimessi a successivi regolamenti da emanare. Con la conseguenza che le indagini bancarie e giudiziarie dello Stato italiano in materia si fermeranno.
Il senso di questa scelta è spiegato dal secondo documento, firmato dal presidente dell’AIF, il Cardinale Attilio Nicora. E’ una lettera del presidente dell’AIF del 12 gennaio 2012, trasmessa il giorno dopo dall’avvocato De Pasquale dell’AIF per mail al presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi e precedentemente inviata al Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Questo documento, che pubblicheremo integralmente domani, è la dimostrazione che lo Stato Vaticano ha scelto di fare retromarcia, dopo l’approvazione della legge del dicembre del 2011 che ha rappresentato certamente un primo importante passo verso l’apertura alla trasparenza bancaria.

Peccato che come segnala Nicora in neretto: “Non va trascurato l’aspetto attinente ai profili di opportunità verso l’esterno e al rischio reputazionale a cui può andare incontro la Santa Sede”. Insomma, l’AIF – l’Autorità antiriclaggio diretta dall’avvocato Francesco De Pasquale e presieduta dal cardinale Attilio Nicora – è oggi poco più che uno specchietto per le allodole, privata dei poteri. Un’Autorità depotenziata che ha perso la sua guerra con la linea di chiusura sposata dal segretario di Stato Bertone, perché evidentemente si era mostrata troppo collaborativa con le autorità italiane. Questo passo indietro sulla strada del Vaticano per uscire dalla “lista grigia” dei paesi poco affidabili dal punto di vista fiscale e finanziario, è segnalato proprio dal cardinale Attilio Nicora quando si vede sottoporre la prima bozza del decreto (poi pubblicato il 25 gennaio) il 9 gennaio. Una bozza che al Fatto risulta essere stata modificata solo leggermente e che non è stata invece toccata ed è divenuta un decreto per la parte che più contava: la drastica riduzione dei poteri dell’AIF di ispezione nei conti dello IOR. La battaglia non è definitivamente conclusa. Il decreto deve essere convertito entro 90 giorni. Il Governo italiano e l’Unione Europea hanno tempo fino alla fine di aprile per fare pressione sullo Stato del Vaticano perché torni sui suoi passi. Non sembra però che né il premier Mario Monti né i partiti si interessino particolarmente alla questione.

da Il Fatto Quotidiano del 15 febbraio 2012

Qui il parere prof. dalla torre

 

 

 

alex

Bufera sullo Ior, prelati come prestanomi per eludere la normativa antiriciclaggio

Uno di questi è "Don Bancomat", il sacerdote che spostava grandi cifre per Diego Anemone.

Il tribunale del Riesame ha confermato il sequestro in via preventiva dei 23 milioni di euro dello Ior depositati su un conto del Credito Artigiano Spa. E l'inchiesta si allarga visto che altre presunte operazioni sospette dello banca vaticana sono finite nel mirino della magistratura romana: il sospetto degli inquirenti è che fosse una prassi dello Ior quella di eludere le normative antiriciclaggio.

Anzi, si tratta di più di un sospetto visto che gli inquirenti hanno individuato almeno una decina di operazioni analoghe a quelle che hanno portato al sequestro dei 23 milioni.

Potrebbe trattarsi addirittura di una prassi dello Ior. A carico dell'istituto, infatti, ci sarebbero decine di movimentazioni bancarie dove - al contrario di quanto previsto dalla legge - non viene indicato nè il beneficiario dei prelevamenti, nè le causali delle operazioni.

Non solo. Secondo quanto accertato dagli inquirenti emergerebbe che molti dei titolari dei conti aperti presso lo Ior siano dei prestanomi di clienti ricchi e famosi. E in molti casi, questi prestanome sono addirittura dei prelati.

È il caso di don Biasini (nella foto in homepage), il cosiddetto Don Bancomat, colui che per l'imprenditore de "la cricca" coinvolta nell'inchiesta Grandi appalti, Diego Anemnone, spostava grandi cifre dai conti della banca.

 
 

Il primo sequestro

Il sequestro era stato disposto dal Gip del Tribunale di Roma Maria Teresa Covatta, nell'ambito di un'inchiesta su presunte omissioni legate alle norme antiriciclaggio da parte della banca vaticana.
Lo Ior, nei giorni scorsi, aveva chiesto il dissequestro del denaro e la revoca del provvedimento, sulla base del fatto che si tratta di un “sequestro illegittimo”, in quanto “la premessa del sequestro sarebbe il riciclaggio da parte dello Ior, e questo non e’ stato dimostrato”. 
Oggi il tribunale del Riesame dà torto alla banca vaticana e conferma il sequestro.
Mentre il Vaticano, in una nota, ribadisce che "sui fondi dello Ior si chiarirà tutto".
 

Altre 2 operazioni sospette

Ma ce n'è di più. Perché altre presunte operazioni sospette dello Ior sono finite nel mirino della magistratura romana, titolare degli accertamenti sui 23 milioni di euro depositati su un conto del Credito Artigiano e per i quali il tribunale del Riesame ha confermato il sequestro preventivo.

Le operazioni sospette in questione risalgono rispettivamente al novembre 2009 ed all'ottobre dello stesso anno e riguardano assegni per 300 mila euro incassati su un conto dello Ior presso un'agenzia Unicredit e un prelievo di 600 mila euro da un conto aperto in Intesa San Paolo.

 
 

Una persona fantasma

La circostanza è emersa dalla documentazione depositata dal procuratore aggiunto Nello Rossi e dal sostituto Stefano Rocco Fava al collegio competente sulla legittimità dei provvedimenti restrittivi in sede di esame del ricorso presentato dai legali della banca Vaticana.

In particolare, i magistrati avrebbero accertato che il conto presso una filiale Unicredit, sul quale sono stati movimentati e incassati gli assegni per un totale di 300 mila euro, ha come titolare un religioso. Gli assegni per 300 mila euro, fondi provenienti da San Marino come accertato dai magistrati, sarebbero stati negoziati da tale Maria Rossi, indicata come la madre del reverendo, ma risultata inesistente.

Per quanto riguarda il prelievo di 600 mila euro da un conto aperto in Intesa San Paolo non sarebbero state rispettate le indicazioni specifiche, previste dalla normativa antiriciclaggio vigente, di natura e scopi.

 
 
 

Le notizie precedenti: la prima bufera sullo Ior

Bufera sullo Ior, la banca di Stato del Vaticano. Il presidente dell'istituto, Ettore Gotti Tedeschi (nella foto in home page), e il direttore generale Paolo Cipriani, sono indagati dalla Procura di Roma per violazione del decreto legislativo 231 del 2007, la normativa di attuazione della direttiva Ue sulla prevenzione del riciclaggio.Sono infatti accusati di aver omesso il soggetto per il quale hanno messo in atto due operazioni da 23 milioni di euro.
 

L'inchiesta della Procura

La loro iscrizione è legata al sequestro preventivo, firmato dal gip Maria Teresa Covatta su richiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e del pm Stefano Rocco Fava ed eseguito ieri, di 23 milioni di euro (su 28 complessivi) che si trovavano su un conto corrente aperto presso la sede romana del Credito Artigiano spa.
È in assoluto la prima iniziativa che chiama in causa la banca vaticana e i suoi vertici da quando, nel 2003, la Cassazione ha attribuito alla giurisdizione italiana la competenza sullo Ior.
 

Due le operazioni sospette

A destare l’attenzione dell’autorità giudiziaria sono state due operazioni nelle quali è stato commesso il reato omissivo previsto dalla normativa antiriciclaggio, per le quali non è stato indicato il nome del soggeto per il quale si eseguivano le operazioni.
Le due operazioni nel mirino sono il trasferimento di 20 milioni alla JP Morgan Frankfurt, e di altri 3 alla Banca del Fucino.
 

La segnalazione della Banca d'Italia

L'inchiesta ha preso il via dalla segnalazione effettuata dall'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia. Ciò ha consentito al nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza e alla Procura romana di attivarsi.
È la prima volta in Italia che viene attuata una iniziativa del genere nei confronti dello Ior.

La Santa Sede si dice perplessa

Ad ogni modo, in una nota la Santa Sede "esprime la massima fiducia nel presidente e nel direttore generale dello Ior". È quanto si legge in un comunicato della Segreteria di Stato Vaticana.
Non solo. La Santa Sede "manifesta perplessità e meraviglia per l'iniziativa della Procura di Roma, tenendo conto che i dati informativi necessari sono già disponibili presso l'ufficio competente della Banca d'Italia, e operazioni analoghe hanno luogo correntemente con altri istituti di credito italiani".
Quanto poi agli "importi citati - prosegue la nota - si fa presente che si tratta di operazioni di giroconto per tesoreria presso istituti di credito non italiani il cui destinatario è il medesimo Ior".
 

alex

ROMA - Il nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza ha sequestrato, in via preventiva, 23 milioni di euro dello Ior depositati su un conto del Credito Artigiano Spa. Due alti responsabili della banca vaticana, tra i quali il presidente Ettore Gotti Tedeschi, sono indagati dalla Procura di Roma per omissioni legate alla violazione delle norme antiriciclaggio.

E' la prima volta in Italia che viene attuata una iniziativa del genere nei confronti dello Ior. A disporre il sequestro preventivo e' stato il gip Maria Teresa Covatta che ha accolto le richieste del procuratore aggiunto Nello Rossi e del sostituto Stefano Rocco Fava. L'azione penale e' partita sulla base di una segnalazione dell'Unita' informazioni finanziarie (Uif), la quale, il 15 settembre scorso, aveva gia' disposto la sospensione per cinque giorni, perche' ritenute sospette, di due operazioni disposte dallo Ior sul conto aperto presso la sede romana del Credito Artigiano. Si tratta della movimentazione di 20 milioni destinati all'istituto di credito tedesco J.P. Morgan Frankfurt e di altri tre milioni destinati alla Banca del Fucino. Sul conto sono depositati complessivamente 28 milioni di euro.


Alla base delle presunte irregolarita' la violazione dei commi 2 e 3 dell'articolo 55 del decreto legislativo 231 del 2007 che impongono alle banche di indicare le generalita' dei soggetti per conto dei quali si eseguono operazioni finanziarie, nonche' gli scopi e la natura delle operazioni stesse. Il coinvolgimento dell'Istituto per le opere di religione nell'inchiesta della procura di Roma non e' quindi legato a questioni di riciclaggio, ma ad una serie di omissioni connesse ai soggetti interessati dalle operazioni e le finalita' delle stesse.

 

BANKITALIA, DA CONSIDERARE ISTITUTO EXTRACOMUNITARIO -  In una circolare del 9 settembre scorso Bankitalia fornisce agli istituti di credito indicazioni sui rapporti da tenere con lo Ior da considerare istituto di credito extracomunitario. Cio' impone per palazzo Koch obblighi di verifiche non semplificati ma rafforzati. E' anche per questo motivo che l'Unita' informazioni finanziarie ha attivato i controlli che hanno portato al sequestro dei 23 milioni e all'iscrizione sul registro degli indagati anche del presidente della banca vaticana. Altre operazioni dello Ior presso la filiale romana di via della Conciliazione sono da tempo nel mirino degli inquirenti di piazzale Clodio.

Fonte: Ansa 21.09.2010


ROMA (Reuters) - Il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi e un altro dirigente della banca del Vaticano sono indagati dalla Procura di Roma per la violazione di un decreto del 2007 sulla prevenzione del riciclaggio, mentre il nucleo valutario della Guardia di Finanza ha sequestrato 23 milioni di euro sul conto dell'istituto depositato in un'agenzia romana. Lo riferiscono oggi fonti giudiziarie.

L'inchiesta della Procura riguarda due distinte operazioni avvenute nei giorni scorsi, una per 20 milioni di euro destinati alla JP Morgan Frankfurt, e un'altra di 3 milioni di euro per la Banca del Fucino.

Il 15 settembre scorso, dice una fonte, l'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia ha segnalato le transazioni - considerate sospette, anche perché prive dell'indicazione dei beneficiari - alla Guardia di Finanza, bloccandole per cinque giorni.

L'ufficio di Gotti Tedeschi non ha voluto commentare la notizia, come anche il portavoce del Vaticano.

Sul conto Ior presso il Credito Artigiano di Roma c'erano in tutto 28 milioni di euro, 23 dei quali sono stati oggetto di sequestro preventivo da parte dei finanzieri.

Il decreto numero 231 del 2007 recepisce nel diritto italiano la normativa comunitaria sulla prevenzione del riclaggio, e la sua violazione comporta la reclusione da sei mesi a un anno e ammenda da 5mila a 50mila euro, dicono le fonti.

L'iscrizione sul registro degli indagati di Gotti Tedeschi e il sequestro della somma sono stati richiesti dal procuratore aggiunto Nello Rossi e dal pm Stefano Fava e autorizzati dalla gip Maria Teresa Covatta.

Gotti Tedeschi, già presidente di Santander Consumer Bank, è a capo dell'Istituto per le Opere Religiose dal 23 settembre del 2009, dopo la nomina da parte della Commissione cardinalizia di vigilanza dell'istituto.

Nel 1982 la banca vaticana balzò all'onore delle cronache nello scandalo scoppiato per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano, all'epoca la più grande banca privata italiana, a cui era legata.

alex

Dopo le rivelazioni sulla casa gratis a Bertolaso indagine interna di Propaganda Fide. Il cardinale: "Sono tranquillo non ho niente da nascondere"

ROMA - "Sentiremo anche il cardinale Crescenzio Sepe". È quanto si è appreso ieri tra i magistrati di Perugia che stanno indagando sugli appalti dei Grandi Eventi. Nel suo genere, una notizia shock appena 24 ore dopo il coinvolgimento del porporato nelle stesse indagini in seguito alle dichiarazioni del sottosegretario Guido Bertolaso, il quale ha assicurato che sarebbe stato "aiutato" da Sepe per avere in affitto gratis una casa in via Giulia. Una dichiarazione, quella del responsabile della Protezione Civile, che non sembra abbia convinto i giudici di Perugia, i quali però a questo punto per tentare di fare completamente luce su tutta la vicenda sembrano seriamente intenzionati a "sentire" il cardinale ed il suo collaboratore Francesco Silvano, l'economo della diocesi napoletana, che - stando a quanto dichiarato da Bertolaso - sarebbe stato l'uomo che gli avrebbe trovato l'alloggio in via Giulia su indicazione di Sepe. "Io sono completamente tranquillo, non ho nulla da nascondere e tantomeno da replicare per un caso infondato", si è limitato a far sapere il cardinale ieri in risposta alle affermazioni del sottosegretario.

In Vaticano, però, l'inchiesta dei giudici di Perugia da un po' di tempo incomincia a preoccupare non pochi alti prelati. Specialmente da quando nelle indagini - oltre alle vicende legate agli affitti e alle compravendite degli immobili di Propaganda Fide - sono incappati personaggi come Angelo Balducci, gentiluomo di Sua Santità, o monsignor Francesco Camaldo, cerimoniere della basilica vaticana. E forse proprio per questo, ieri autorevoli fonti pontificie citate dalle agenzie di stampa e non smentite dalle autorità vaticane, a proposito del coinvolgimento di Propaganda Fine nella indagini hanno invitato alla "prudenza" e ad avere "fiducia nella giustizia". Precisando, però, che "se ci sono state responsabilità vanno attribuite alla precedente gestione della congregazione che va dal 2001 al 2006, non a quella attuale".

Detto in parole povere, senza proclami ufficiali, dal Vaticano si fa filtrare riservatamente che nei piani alti della Curia c'è qualcuno che ha tanta voglia di "scaricare" non l'attuale prefetto di Propaganda Fine, il cardinale Ivan Dias, ma il suo predecessore, vale a dire il cardinale Sepe. Se non è una "guerra" annunciata, tutta all'interno delle gerarchie ecclesiali, poco ci manca. Una sfida senza esclusioni di colpi in un momento in cui i vertici pontifici, papa Ratzinger in testa, sono fortemente impegnati a raddrizzare la rotta della Chiesa cattolica incagliata nelle bufere dello scandalo della pedofilia ed ora anche nelle inchieste giudiziarie sugli appalti del G8. "Finora a Propaganda Fide tutto è risultato in ordine, non ci sono problemi di gestione", assicura l'arcivescovo Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede, facendo però capire che sulla Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, pur essendo un dicastero dotato di totale autonomia gestionale tanto che il suo prefetto viene tradizionalmente chiamato con l'appellativo di "Papa rosso", Ratzinger intende "vederci chiaro". Inutile, però, chiedere a monsignor De Paolis se Benedetto XVI o il suo cardinal segretario di Stato Tarcisio Bertone hanno scritto o ordinato una inchiesta interna. "Sono cose riservate su cui non si può rispondere", taglia corto De Paolis, precisando però che "finora non è emerso niente".

Fonte: Repubblica.it

alex

Nuova rogatoria dei pm: vogliamo vedere conti e contratti

 

Conti correnti, appalti, mutui, movimenti bancari. Se avessero potuto, li avrebbero già passati al setaccio, gli 007 della Procura di Perugia. Sono i «segreti» di «Propaganda Fide» che vorrebbero che affiorassero, per trovare conferme ai loro sospetti.

L’ipotesi da verificare è la seguente: milioni di euro dello Stato italiano finiti nelle casse gestite dal prefetto della Congregazione, il cardinale Crescenzio Sepe, in cambio di un affare davvero miracoloso: l’acquisto di una palazzina di tre appartamenti alle spalle di Montecitorio, in via dei Prefetti, a un prezzo stracciato. Pietro Lunardi, il ministro che autorizzò quei finanziamenti milionari, ha comprato quei tre appartamenti a tre milioni di euro - così è scritto nell’atto di compravendita, anche se poi l’ex ministro dice che li pagò quattro milioni di euro - mentre il suo valore di mercato oscilla tra i nove e gli undici milioni di euro.

E, dunque, nei fatti Lunardi avrebbe ottenuto una «stecca» di almeno cinque milioni di euro.
Torniamo alla rogatoria. I pm perugini Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi vogliono andare a colpo sicuro, sapendo cioè che cosa cercare. Nessun intento persecutorio contro il Vaticano. La rogatoria che partirà oggi per la Santa Sede, e che riguarda la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, è circoscritta, si riferisce al periodo in cui era prefetto della Congregazione il cardinale Crescenzio Sepe, indagato per corruzione aggravata dai magistrati perugini.

E riguarda in particolare i finanziamenti autorizzati dall’allora ministro per le Infrastrutture Pietro Lunardi. Stiamo parlando per esempio del decreto del 2005, quello che stanzia due milioni e mezzo di euro per i lavori di restauro e la creazione di una pinacoteca nel palazzo di «Propaganda Fide» di piazza di Spagna. Un finanziamento criticato dalla Corte dei conti. Sembra che le uniche spese effettuate per quei lavori ammontino a 180.000 euro, il costo dell’affitto dei ponteggi montati all’esterno per due mesi.

In quel decreto del 2005, che finanziava i progetti Arcus - la Spa dei ministeri delle Infrastrutture e dei Beni culturali - un altro milione di euro fu destinato ai lavori di restauro dei palazzi Lucchesi e Frascara della Pontificia università Gregoriana.

Ecco, la Procura di Perugia vuole analizzare i finanziamenti, gli appalti, i mutui, i conti correnti di Propaganda Fide. Per verificare l’ipotesi dell’esistenza della «stecca», del passaggio di «utilità», in questo caso capitali in cambio di discutibili operazioni immobiliari.

La rogatoria perugina parte il giorno in cui dal Vaticano filtra la notizia che la Segreteria di Stato ha avviato una indagine interna sui conti dello Ior. Il segretario di Stato, Tarcisio Bertone (che è anche presidente della commissione di viglilanza sulla banca vaticana), ha promosso un’ispezione interna allo Ior, per verificare la titolarità dei conti, con particolare attenzione a quelli riconducibili al Gentiluomo di Sua Santità, Angelo Balducci, l’ex Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici in carcere dal 10 febbraio scorso, e al resto della «cricca». Insomma, anche il Vaticano avverte il bisogno di controllare la presenza di movimentazione di capitali «anomali» nella sua banca.

E se la Procura ha già depositato al Tribunale dei ministri (di Perugia) la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro per le Infrastrutture, Pietro Lunardi, indagato per corruzione - mentre si annunciano novità nei prossimi giorni, per la posizione dell’ex ministro Claudio Scajola - , né da Lunardi né dallo stesso cardinale Sepe, al di là delle dichiarazioni di intenti, sono arrivati segnali concreti di disponibilità a essere sentiti. Nel giorno della conferenza stampa del cardinale Sepe, il suo legale si è limitato a sottolineare che i fatti contestati al cardinale «non hanno nessun rilievo penale». Lasciando assolutamente nel vago la disponibilità di andare dai pm perugini a difendersi dalle accuse.

In questa fase, la Procura non sembra interessata a convocare i due inquisiti eccellenti - l’ex prefetto della Congregazione e l’ex ministro delle Infrastrutture - impegnata invece a raccogliere altri elementi d’accusa, a verificare le ipotesi investigative.

La squadra di cinque ispettori della Banca d’Italia, intanto, sta controllando i conti correnti di tutti i protagonisti della inchiesta perugina. E’ la «cricca» sotto la lente degli 007, mentre si aspettano i risultati delle rogatorie con San Marino e il Lussemburgo (ambedue i Paesi stanno collaborando alle indagini). E gli esperti di Bankitalia stanno analizzando anche i conti di Guido Bertolaso, il capo del Dipartimento della Protezione civile indagato per concorso in corruzione, alla ricerca di movimentazioni «anomale».
 

alex

Grandi appalti, la nuova pista che da Balducci conduce a monsignor Camaldo e allo Ior

Conduce dritta verso le sacre stanze del Vaticano una delle piste seguita dagli investigatori nell’inchiesta sui Grandi Appalti. La figura che accentra le attenzioni dei magistrati è quella di Angelo Balducci, presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che poteva vantare, tra gli altri, il titolo di "consultore" di Propaganda Fide, congregazione dal superbo patrimonio immobiliare. Il “gentiluomo di Sua Santità” risulta intestatario di un conto corrente presso lo Ior, la banca vaticana, e i magistrati vogliono vederci più chiaro, tanto che – rivela tra gli altri il quotidiano La Stampa – avrebbero già preparato una rogatoria internazionale per lo Stato Vaticano. La banca della Santa Sede è stata sempre una cassaforte inespugnabile e segreta per i giudici italiani che in altre occasioni, come quella della Banda della Magliana, del delitto Calvi o di fondi neri legati alla politica italiana, si sono dovuti fermare.
Monsignor Camaldo e i rapporti con Balducci - Ma ultimamente il Vaticano ha promesso di adeguarsi alle direttive europee antiriciclaggio e potrebbero esserci maggiori aperture. Che Balducci avesse un conto corrente oltre Tevere si sapeva già da tempo, fin da quando il Pm di Potenza John Woodoock,  indagando sulla vicenda degli affari di Vittorio Emanuele di Savoia, intercettò notizie su un misterioso bonifico di Balducci a monsignor Camaldo. Il prelato, da quanto si seppe, era uscito male da una spericolata operazione immobiliare (fu truffato) ed era giù di morale, Così Balducci decise di dargli una mano prestandogli 280mila euro a fondo perduto.
I Pm di Perugia vogliono interrogarlo - Davanti alle richieste di chiarimenti del Pm il monsignore uscì fuori con una spiegazione che destò scalpore: aveva cercato di acquistare nei Castelli Romani la villa da mille e una notte appartenuta a Carlo Ponti e Sofia Loren per trasformala – cosa ancora più singolare – in una sede per una associazione massonica. Si trattava però di una fregatura ed aveva pensato di rivolgersi a Balducci. Woodcock non riuscì a trovare elementi per approfondire le indagini in quella direzione, ma i suoi colleghi di Perugia vogliono convocare Camaldo per interrogarlo. L’intento dovrebbe essere quello di stabilire che tipo di rapporto esistesse tra l'uomo di chiesa e Balducci, che fu nominato – come lo stesso interessato ha raccontato alla Stampa – Gentiluomo di Sua Santità, dietro interessamento del Monsignore.
L'ombra di Anemone - Il quotidiano di Torino ricorda come, nel 2003, il Vaticano avesse venduto degli immobili in Piazza della Pigna, a Roma, ad un certo Peter Paul Pohl. Questo immobiliarista altoatesino rivendette subito alla Immobilpigna Srl, ovvero – come precisa La Stampa – Diego Anemone e Balducci. Per altro, al signor Pohl, “utilizzando dei conti correnti del solito Zampolini”, furono versati un milione e 450 mila euro in due tranches. Successivamente gli appartamenti di cui si parla, come risulta anche dalla lista Anemone, “furono ristrutturati e venduti”.
 
17 maggio 2010
Redazione Tiscal

alex

ROMA (17 maggio) - Sono i soldi veri, quelli che ancora mancano all’appello nell’inchiesta sui Grandi eventi e gli appalti al G8, il grande cruccio della procura di Perugia. I miliardi di euro che la “cricca” movimentava e poi faceva “sparire” sui conti correnti di mezzo mondo. I pm umbri sono in attesa di risposte sull’attività di quei settantuno nomi che hanno fornito alla Banca d’Italia. Sono almeno 15 le rogatorie partite per il Lussemburgo, la Svizzera il Belgio, la Francia, San Marino, e persino la Tunisia, perché proprio lì, nel Nord dell’Africa, secondo il racconto dell’ex autista di Angelo Balducci, Laid Ben Hidri Fathi, il suo datore di lavoro e i soci potrebbero aver investito, e molto.

Quello che, però, per i magistrati si presenta come il principale nodo da risolvere è riuscire a ottenere informazioni dalla Città del Vaticano, e in particolare dalla sua banca, lo Ior. I pm Sergio Sottani e Alessia Tavernesi avrebbero già pronta una rogatoria per lo Stato Oltretevere, perché ritengono che il “deus” di tutta questa operazione, ovvero Balducci, possa aver trasferito proprio in quelle cassaforti buona parte delle sue rendite.

È stato lui stesso, infatti, a parlare di un conto corrente di sua proprietà allo Ior. Lo ha fatto con il pubblico ministero Henry John Woodcock, mentre questo indagava a Potenza su uno strano affare immobiliare che coinvolgeva massoni internazionali e servizi segreti. Dalla ricostruzione fatta dal pm, i cui atti sono stati acquisiti dalla procura umbra, il ruolo di intermediario in questa vicenda venne assunto da monsignor Franco Camaldo, prelato d’onore di Sua Santità e cerimoniere pontificio, che divenne poi - sempre secondo l’accusa - il beneficiario di un pagamento di 380 mila euro che sarebbe stato “offerto” per coprire i debiti derivati dall’acquisto di una villa dove avrebbe dovuto avere sede un nuova loggia massonica. Un affare mai realizzato che sembra potersi ricollegare a un assegno dello stesso importo, che avrebbe avuto uguale finalità, che è stato individuato su un conto corrente della Deutsche bank, datato Merano e intestato a una società del posto.

Che la procura voglia puntare sulla banca Vaticana sembra ormai un fatto certo, anche perché buona parte dei lavori eseguiti per i Grandi eventi fanno riferimento a immobili e beni dello Stato pontificio. La risposta a una rogatoria è attesa anche per la posizione di don Evaldo Biasini, il quale potrebbe risultare prestanome e custode all’estero di altri conti. Come si vogliono conoscere i movimenti di denari su eventuali banche estere del coordinatore del Pdl, Denis Verdini. Il suo nome compare nelle dieci pagine di rogatorie inviate dalle procure di Perugia e Firenze in Lussemburgo. Insieme con il parlamentare compaiono l’ex procuratore aggiunto della Capitale, Achille Toro, suo figlio Camillo, Fabio De Santis, Riccardo Fusi, Guido Cerruti e alcuni altri personaggi che farebbero parte della “cricca”.

Sono tanti i soldi che gli inquirenti stanno cercando di rintracciare nei 1.143 rapporti bancari. Di questi 263 sono ricollegabili a Balducci, Anemone, e a loro amici e parenti. E almeno trenta sono quelli intestati alla segretaria del costruttore, Alida Lucci. L’ex provveditore ai lavori pubblici risulta intestatario di un conto presso il Bank Julius di Zurigo, grazie ai prestanome Roberto Di Mario e Maria Letizia Confronte. Mentre non si sa ancora molto di un conto a San Marino, riferibile alla famiglia dell’ex Commissario per i mondiali di nuoto, Claudio Rinaldi e a sua madre Mimma Giordani.

Le autorità bancarie del Lussemburgo hanno già comunicato che Balducci e Rinaldi hanno chiuso due conti presso l’Unicredit Luxembourg Sa, grazie allo Scudo fiscale. Ne rimangono aperti due a nome “Cordusio Spa”, intestati sempre a loro, il primo contenente 3 milioni di euro, e il secondo oltre due. A Rinaldi appartiene anche un conto svizzero all’Ubs. Inoltre, è stato segnalato un passaggio di titoli azionari dal conto dell’ex Commissario a quello di Balducci per oltre 900 mila euro. L’Unità di informazione finanziaria delegata ai rapporti con l’esterno ha segnalato anche altri versamenti “anomali” effettuati in contanti, a distanza di poche ore. Rinaldi, a esempio, riceve 300 mila euro il 2 aprile del 2003. Il giorno dopo Balducci ne versa 738 mila in contanti sul suo conto. La coincidenza si ripete in più di una circostanza: il 25 marzo del 2003 a Balducci vengono accreditati 526 mila euro, e lo stesso giorno Rinaldi riceve sul suo conto 250 mila euro.

alex

Di Curzio Maltese
 
LA CHIESA cattolica è l'unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla lotta alla povertà e la demonizzazione del danaro, "sterco del diavolo". Vangelo secondo Matteo: "E' più facile che un cammello passi nella cruna dell'ago, che un ricco entri nel regno dei cieli". Ma è anche l'unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari e investimenti, l'Istituto Opere Religiose.

La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all'interno delle mura vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da Niccolò V, con mura spesse nove metri alla base. Si entra attraverso una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il presidio delle guardie svizzere notte e giorno ne segnala l'importanza. All'interno si trovano una grande sala di computer, un solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna dell'ago passano immense e spesso oscure fortune. Le stime più prudenti calcolano 5 miliardi di euro di depositi. La banca vaticana offre ai correntisti, fra i quali come ha ammesso una volta il presidente Angelo Caloia "qualcuno ha avuto problemi con la giustizia", rendimenti superiori ai migliori hedge fund e un vantaggio inestimabile: la totale segretezza. Più impermeabile ai controlli delle isole Cayman, più riservato delle banche svizzere, l'istituto vaticano è un vero paradiso (fiscale) in terra. Un libretto d'assegni con la sigla Ior non esiste. Tutti i depositi e i passaggi di danaro avvengono con bonifici, in contanti o in lingotti d'oro. Nessuna traccia.

Da vent'anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo Ior è un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 406 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni di dollari dovuti secondo l'allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l'avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un killer della mafia venuto dall'America al portone di casa.
 
Senza contare il mistero più inquietante, la morte di papa Luciani, dopo soli 33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere Paul Marcinkus e i vertici dello Ior. Sull'improvvisa fine di Giovanni Paolo I si sono alimentate macabre dicerie, aiutate dalla reticenza vaticana. Non vi sarà autopsia per accertare il presunto e fulminante infarto e non sarà mai trovato il taccuino con gli appunti sullo Ior che secondo molti testimoni il papa portò a letto l'ultima notte.
Era lo Ior di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri lituano, nato a Cicero (Chicago) a due strade dal quartier generale di Al Capone, protagonista di una delle più clamorose quanto inspiegabili carriere nella storia recente della chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di baseball e golf, era stato l'uomo che aveva salvato Paolo VI dall'attentato nelle Filippine. Ma forse non basta a spiegare la simpatia di un intellettuale come Montini, autore della più avanzata enciclica della storia, la Populorum Progressio, per questo prete americano perennemente atteggiato da avventuriero di Wall Street, con le mazze da golf nella fuoriserie, l'Avana incollato alle labbra, le stupende segreterie bionde e gli amici di poker della P2.

Con il successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito un'intesa. A Karol Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell'Est che parla bene il polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di Solidarnosc. Quando i magistrati di Milano spiccano mandato d'arresto nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte per proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana, sbandiera i passaporti esteri e l'extraterritorialità. Ci vorranno altri dieci anni a Woytjla per decidersi a rimuovere uno dei principali responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza dello Ior. Ma senza mai spendere una parola di condanna e neppure di velata critica: Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche "una vittima", anzi "un'ingenua vittima".

Dal 1989, con l'arrivo alla presidenza di Angelo Caloia, un galantuomo della finanza bianca, amico e collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo Ior cambiano. Altre no. Il ruolo di bonificatore dello Ior affidato al laico Caloia è molto vantato dalle gerarchie vaticane all'esterno quanto ostacolato all'interno, soprattutto nei primi anni. Come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un libro fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003). "Il vero dominus dello Ior - scrive Galli - rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporti con tutta la Roma che contava, politica e mondana. Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. E poi aristocratici, finanzieri, artisti come Sofia Loren. Questo spiegherebbe perché fra i conti si trovassero anche quelli di personaggi che poi dovevano confrontarsi con la giustizia. Bastava un cenno del monsignore per aprire un conto segreto".

A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i correntisti con i contanti o l'oro nel caveau, attraverso una scala, in cima alla torre, "più vicino al cielo". I contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria sottoposto, saranno frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli: "Un'aurea legge manageriale vuole che, in caso di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest'ultimo a soccombere. Ma essendo lo Ior istituzione particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione di gradi".
 

L'ingresso dello IOR


La glasnost finanziaria di Caloia procede in ogni caso a ritmi serrati, ma non impedisce che l'ombra dello Ior venga evocata in quasi tutti gli scandali degli ultimi vent'anni. Da Tangentopoli alle stragi del '93 alla scalata dei "furbetti" e perfino a Calciopoli. Ma come appare, così l'ombra si dilegua. Nessuno sa o vuole guardare oltre le mura impenetrabili della banca vaticana.

L'autunno del 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4 ottobre arriva al presidente dello Ior una telefonata del procuratore capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: "Caro professore, ci sono dei problemi, riguardanti lo Ior, i contatti con Enimont...". Il fatto è che una parte considerevole della "madre di tutte le tangenti", per la precisione 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo Ior. Sul conto di un vecchio cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato nell'inchiesta "Why Not" di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di Borrelli, il presidente Caloia si precipita a consulto in Vaticano da monsignor Renato Dardozzi, fiduciario del segretario di Stato Agostino Casaroli. "Monsignor Dardozzi - racconterà a Galli lo stesso Caloia - col suo fiorito linguaggio disse che ero nella merda e, per farmelo capire, ordinò una brandina da sistemare in Vaticano. Mi opposi, rispondendogli che avrei continuato ad alloggiare all'Hassler. Tuttavia accettai il suggerimento di consultare d'urgenza dei luminari di diritto. Una risposta a Borrelli bisognava pur darla!". La risposta sarà di poche ma definitive righe: "Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale".

I magistrati del pool valutano l'ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto "ente fondante della Città del Vaticano", è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta deve partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola. In compenso l'effetto di una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull'opinione pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione ufficiale: "Lo Ior non poteva conoscere la destinazione del danaro".

Il secondo episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta, durante il processo per mafia a Marcello Dell'Utri. In video conferenza dagli Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che "Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano". "Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione". Fin qui Mannoia fornisce informazioni di prima mano. Da capo delle raffinerie di eroina di tutta la Sicilia occidentale, principale fonte di profitto delle cosche. Non può non sapere dove finiscono i capitali mafiosi. Quindi va oltre, con un'ipotesi. "Quando il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) venne in Sicilia e scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far esplodere due bombe davanti a due chiese di Roma". Mannoia non è uno qualsiasi.

E' secondo Giovanni Falcone "il più attendibile dei collaboratori di giustizia", per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto ad accertare i fatti, quella sullo Ior. I magistrati del caso Dell'Utri non indagano sulla pista Ior perché non riguarda Dell'Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli altri sono a conoscenza del precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva: "Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?".

Sulle trame dello Ior cala un altro sipario di dieci anni, fino alla scalata dei "furbetti del quartierino". Il 10 luglio dell'anno scorso il capo dei "furbetti", Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati: "Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non esagero, due o tre miliardi di euro". Al pm milanese Francesco Greco, Fiorani fa l'elenco dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane: "I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente dell'Apsa, l'amministrazione del patrimonio immobiliare della chiesa, ndr), quando ho comprato la Cassa Lombarda. M'ha chiesto trenta miliardi di lire, possibilmente su un conto estero".

Altri seguiranno, molti a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani nell'incontro con il cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della congregazione dei vescovi e braccio destro di Ruini: "Uno che vi ha sempre dato i soldi, come io ve li ho sempre dati in contanti, e andava tutto bene, ma poi quando è in disgrazia non fate neanche una telefonata a sua moglie per sapere se sta bene o male".

Il Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino all'ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del "complotto politico" contro il governatore. Del resto, la carriera di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche, si spiega in buona parte con l'appoggio vaticano. In prima persona di Camillo Ruini, presidente della Cei, e poi di Giovanni Battista Re, amico intimo di Fazio, tanto da aver celebrato nel 2003 la messa per il venticinquesimo anniversario di matrimonio dell'ex governatore con Maria Cristina Rosati.

Naturalmente neppure i racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello Ior e dell'Apsa, i cui rapporti con le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono quantomeno singolari. E' difficile per esempio spiegare con esigenze pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman dalla naturale diocesi giamaicana di Kingston, per proclamarle "missio sui iuris" alle dirette dipendenze della Santa Sede e affidarle al cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio dello Ior.

Il quarto e ultimo episodio di coinvolgimento dello Ior negli scandali italiani è quasi comico rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli. Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea, la società di mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia della Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre dell'azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello Ior sarebbe custodito anche il "tesoretto" personale di Luciano Moggi, stimato in 150 milioni di euro. Al solito, rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode di grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa cattolica sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini, Moggi è da poco diventato titolare di una rubrica di "etica e sport" su Petrus, il quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove l'ex dirigente juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a scagliare le prime pietre contro la corruzione (altrui).

Con l'immagine di Luciano Moggi maestro di morale cattolica si chiude l'ultima puntata dell'inchiesta sui soldi della Chiesa. I segreti dello Ior rimarranno custoditi forse per sempre nella torre-scrigno. L'epoca Marcinkus è archiviata ma l'opacità che circonda la banca della Santa Sede è ben lontana dallo sciogliersi in acque trasparenti. Si sa soltanto che le casse e il caveau dello Ior non sono mai state tanto pingui e i depositi continuano ad affluire, incoraggiati da interessi del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire cifre precise è, come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con oltre 407 mila dollari di prodotto interno lordo pro capite, la Città del Vaticano è di gran lunga lo "stato più ricco del mondo", come si leggeva nella bella inchiesta di Marina Marinetti su Panorama Economy. Secondo le stime della Fed del 2002, frutto dell'unica inchiesta di un'autorità internazionale sulla finanza vaticana e riferita soltanto agli interessi su suolo americano, la chiesa cattolica possedeva negli Stati Uniti 298 milioni di dollari in titoli, 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine, più joint venture con partner Usa per 273 milioni.

Nessuna autorità italiana ha mai avviato un'inchiesta per stabilire il peso economico del Vaticano nel paese che lo ospita. Un potere enorme, diretto e indiretto. Negli ultimi decenni il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte tradizionale delle minoranze laiche e liberali italiane, la finanza. Dal tramonto di Enrico Cuccia, il vecchio azionista gran nemico di Sindona, di Calvi e dello Ior, la "finanza bianca" ha conquistato posizioni su posizioni. La definizione è certo generica e comprende personaggi assai distanti tra loro. Ma tutti in relazione stretta con le gerarchie ecclesiastiche, con le associazioni cattoliche e con la prelatura dell'Opus Dei. In un'Italia dove la politica conta ormai meno della finanza, la chiesa cattolica ha più potere e influenza sulle banche di quanta ne avesse ai tempi della Democrazia Cristiana.

Fonte: Repubblica.it

alex

di Andrea Cinquegrani - tratto da www.lavocedellacampania.it 

La proposta era davvero invitante: nelle austere e vellutate stanze del Vaticano si nascondeva la possibilità di un investimento finanziario a tassi astronomici. Interessi fino al tredici per cento senza alcun rischio per il capitale. Percentuali del diciotto per cento in occasione del Giubileo. Insomma, un vero affare. Del resto, chi non affiderebbe i propri risparmi nientemeno che a San Pietro, allo Ior, il celebre e talvolta famigerato istituto per le opere religiose che agisce sui mercati internazionali come vera e propria struttura di credito?
L'investimento, però, aveva bisogno di qualcuno interno al Vaticano: nello Ior, infatti, possono movimentare capitali solo appartenenti al clero o laici interni al piccolo stato cattolico. Una persona c'era, in effetti, e le credenziali erano di tutto rispetto. Tanto da indurre un agente immobiliare salernitano, benestante, figlio di un prefetto a riposo, a vendere alcuni appartamenti e a investire tutto il patrimonio nell'operazione.
Giovanni Rossi, 50 anni, celibe, di Salerno, non ci ha pensato due volte: ha preso il gruzzolo (circa un miliardo e mezzo di vecchie lire) e lo ha affidato (così dichiara in una denuncia presentata alla magistratura) a un dipendente del Vaticano, tale Domenico Stefano Licciardi, 65 anni, nativo di Ficarazzi (Palermo) e residente a Roma da molti anni. Sposato, tre figli, Licciardi lavora come ragioniere all'autoparco del Vaticano. E' prossimo alla pensione ma quando è entrato in contatto con Rossi era ben inserito nell'ambiente ecclesiale: parente di alcuni sacerdoti, amico personale di volontari cattolici e persone importanti della gerarchia vaticana.
Secondo Giovanni Rossi, l'incontro con Licciardi ha rappresentato la sua rovina. In un voluminoso e documentato dossier l'agente immobiliare traccia la cronistoria di questo tormentato rapporto: ne è scaturita una denuncia per truffa presentata sia a Nicola Picardi (Promotore di Giustizia del tribunale vaticano) sia alla Procura della Repubblica di Roma. Dalla denuncia (di cui al momento non esistono ancora riscontri d'inchiesta, eccetto i documenti prodotti dallo stesso Rossi) emerge un quadro inquietante, che ricostruiamo attraverso la cronistoria messa nero su bianco dall'immobiliarista salernitano.

ASSEGNI & INTERESSI
"La formula - dice Rossi - era semplice: io fornivo a Licciardi i miei risparmi in decine di assegni circolari di piccolo taglio. Lui diceva di investirli allo Ior: come garanzia mi dava alcuni assegni bancari firmati da lui, senza data, con la cifra del capitale più gli interessi (tredici per cento). Restava inteso che non avrei incassato gli assegni senza prima avvertirlo. Se avessi voluto continuare l'investimento, lui avrebbe ritirato il vecchio assegno e me ne avrebbe dato uno nuovo; altrimenti, a suo dire, mi avrebbe restituito i soldi".
Continua la minuziosa descrizione. "Licciardi utilizzava questo meccanismo già con mio padre, Pierino Rossi, prefetto in pensione, e con le sue sorelle, Orsola e Carmen, oltre che con mio zio Filippo De Iulianis, questore in pensione. Quando è morto mio padre, io e mia sorella Patrizia abbiamo ereditato circa 700 milioni, che erano in mano a Licciardi. Mia sorella si fece dare la sua parte, io decisi di lasciarla a Licciardi per proseguire l'investimento. La persona mi sembrava molto affidabile: mi riceveva a casa sua con tutti gli onori, era conosciuta nell'ambiente ecclesiale come uomo buono, generoso, disponibile; faceva catechesi: diceva di essere amico di monsignor Crescenzo Sepe, organizzatore del Giubileo, di monsignor Guerino Di Tora, direttore della Caritas di Roma e di altri prelati. Era impossibile non fidarsi di lui".
"In prossimità del Giubileo - continua Rossi - nel periodo '96 -'98 Licciardi mi prospettò la possibilità di un nuovo investimento per l'anno Santo, con interessi al diciotto per cento. Mi convinse così a vendere due appartamenti, uno a Napoli (Santa Lucia) e uno a Como. Gli consegnai circa 900 milioni delle vecchie lire, che avrei potuto ritirare con gli interessi solo dopo il Giubileo".
"Questi soldi - continua Rossi - Licciardi li volle in assegni circolari di piccolo taglio, intestati anche a una lista di amici suoi. Tra questi mi fece intestare alcuni assegni a monsignor Di Tora e a C. A., considerata una delle giovani più importanti e attive nel volontariato romano. Lui diceva che questi nomi erano la garanzia per me che si trattava di una cosa seria. Io, del resto, non ho mai avuto dubbi. Mio padre si fidava ciecamente di Licciardi e così le mie zie. Gli ho affidato i miei risparmi a occhi chiusi".
Ma ecco che iniziano a sorgere i primi sospetti. Così continua la denuncia: "Ho cominciato a capire che c'era qualcosa di strano quando nel 1999 gli chiesi di chiudere l'investimento dei soldi di mio padre e di restituirmi i circa 300 milioni di lire. Ero convinto che non avrei trovato problemi a incassare gli assegni che avevo in mano, ma lui cominciò a chiedere rinvii, a trovare scuse. Mi convinse addirittura a fare un viaggio in Svizzera per prelevare i soldi da una banca, ma nulla. Erano viaggi a vuoto. Alle mie sollecitazioni, Licciardi prendeva tempo: firmava delle impegnative, riconoscendo il debito e dichiarandosi pronto a pagarlo a scadenze precise. Ma ad ogni scadenza, nulla. Quando ho cominciato a muovere seriamente delle rimostranze e a prospettare azioni legali ha cambiato atteggiamento nei miei confronti, ha cominciato addirittura a minacciarmi di morte, vantando amicizie nella malavita siciliana e romana. Queste minacce mi sono state mosse davanti a un testimone (di cui si fa il nome nel dossier-denuncia, ndr) e mi hanno ridotto a uno stato di grave prostrazione psico-fisica".
Prosegue l'inquietante racconto di Rossi: "Quando, nel dicembre del 2001, stufo dei rinvii, ho deciso di rientrare in possesso di tutto il mio capitale, ho portato in banca gli assegni che mi erano stati dati in garanzia da Licciardi. Erano quattro assegni bancari: tre della Banca Nazionale dell'Agricoltura (agenzia 1, via Appia Nuova, Roma) e uno della Banca di Roma. L'importo complessivo era di più di due miliardi di vecchie lire, il capitale più gli interessi. Ho depositato gli assegni il 27 dicembre. Il 4 gennaio i notai Giuseppe Tarquini e Fabrizio Polidori di Roma hanno comunicato alla mia banca che gli assegni non erano incassabili: il conto della Banca Nazionale dell'Agricoltura (numero 954 t) era stato estinto alcuni anni prima, mentre sul conto del Banco di Roma non c'era sufficiente disponibilità rispetto agli importi".
In pratica, "Licciardi risultava così protestato. E per me - denuncia ancora Rossi - svaniva la possibilità di rientrare in possesso dei miei soldi. Quell'investimento si è rivelato un raggiro che mi ha ridotto sul lastrico. Così mi sono deciso a sporgere denuncia". Prima ha inviato una lettera a carabinieri, polizia e magistratura; poi un dossier al tribunale vaticano e alla procura di Roma. "Lo stesso hanno fatto le mie zie - aggiunge - vittime anche loro del tranello. Io in tutto ci ho rimesso un miliardo e mezzo, che sarebbero dovuti diventare, con gli interessi promessi, due miliardi e mezzo: speriamo di avere giustizia e di tornare in possesso dei nostri capitali".

PROTAGONISTI IN CAMPO
Originario di Palermo, Domenico Stefano Licciardi è emigrato a Roma circa trenta anni fa: pare che un suo parente fosse dentro la gerarchia ecclesiale. Entrò in Vaticano, nell'autoparco, come ragioniere e divenne un attivista cattolico. E' stato per molti anni uno dei fedeli più attivi della parrocchia di San Policarpo a Roma, nel quartiere di Cinecittà. "Noi lo conosciamo - racconta un sacerdote che sostituisce monsignor Antonio Antonelli, attuale parroco - ma è un po' che manca dalle attività parrocchiali. So che nel passato ha fatto catechesi e che lavora in Vaticano". "Mi sembra che un suo parente - aggiunge Giuseppe, un altro parrocchiano - sia stato parroco a Monreale, mentre un lontano cugino, che porta il nome di uno dei figli, era poliziotto, ma avrebbe avuto problemi con la giustizia".
Licciardi è sposato con Ivana Ceccarelli, casalinga e ha tre figli: Settimio, macchinista delle ferrovie, Antonino, impiegato anch'egli in Vaticano, Franca, vigile urbano. La casa in cui i Licciardi abitano, a Cinecittà, è intestata a quest'ultima. La moglie di Licciardi, contattata telefonicamente dalla Voce, ha rifiutato ogni commento, ha negato ripetutamente la presenza del marito in casa. Modi decisamente più bruschi da parte dei figli Franca e Antonino, che alla richiesta di un colloquio per sentire la loro versione, hanno reagito duramente, interrompendo la comunicazione e rifiutando ogni contatto successivo.
Tra le amicizie vantate da Licciardi c'è quella con monsignor Guerino Di Tora. In effetti, Di Tora è stato per anni parroco di San Policarpo, prima di passare a reggere la Basilica di Santa Cecilia a Trastevere, una delle più importanti di Roma. Di Tora è personaggio di primo piano della chiesa capitolina. Attualmente è direttore della Caritas romana, subentrato a don Luigi Di Liegro.
E Di Tora è anche presidente di un fondo antiusura: si chiama "Salus Populi Romani", ha sede nella capitale, a piazza San Giovanni in Laterano, ed è nato nel 1996. Dichiara di aver esaminato quasi 1400 casi e di aver concesso crediti personali per un importo di quattro miliardi e mezzo, con l'aiuto e le garanzie di due istituti di credito convenzionati. "La fondazione è un istituto a carattere regionale per prevenire il fenomeno dell'usura - spiega un operatore - concediamo prestiti alle persone che non potendo accedere al sistema bancario finirebbero facilmente nelle mani degli strozzini. Per coloro che già si trovano sotto usura aiutiamo a trovare il percorso per uscirne". A Roma sono in funzione tre centri d'ascolto: uno di questi è proprio nella parrocchia di San Policarpo, quella dove svolgeva catechesi Licciardi.
A Di Tora risulta intestato uno degli assegni circolari con cui Rossi trasferiva il capitale a Licciardi. Sarebbe stato proprio quest'ultimo a fare il nome del monsignore e a chiedere all'agente immobiliare salernitano di intestargli un assegno. Il titolo è stato rilasciato il 22 ottobre 1996 dal Monte dei Paschi di Siena, agenzia 1 di Salerno, ed è stato girato per l'incasso dallo stesso Di Tora il 24 ottobre del '96 presso il Credito Italiano, agenzia 2008 (nel dossier inviato alla Procura ci sono copie dell'assegno con la girata autografa di Di Tora).
Altri assegni risultano intestati e girati per incasso alla Elemosineria apostolica, a Mario Giamboni, a C. A. (fondatrice di alcune associazioni di volontariato e molto nota a Roma per la sua attività di recupero a favore di barboni e tossicodipendenti), Francesco Vigliarolo, Mario Napoleoni.
A dare il via all'investimento è stato il padre di Giovanni, Pierino Rossi, deceduto nel '91, una carriera nella burocrazia, una lunga attività anche alle prefetture di Napoli e Como (da qui l'acquisto di case in queste città). La moglie, un'anziana signora, è in vita e risiede a Roma con la figlia Patrizia, che ha sposato un imprenditore romano, Lucio Tambescia. Il prefetto Rossi avrebbe cominciato nel 1986 a dare soldi a Licciardi, sperando in un buon rendimento. Licciardi gli era stato presentato dalle sorelle, che risiedevano a Roma e dal cognato, Filippo De Iulianis, questore in pensione, altro vicino di casa di Licciardi. Anche le sorelle Rossi avrebbero tentato l'investimento, senza fortuna.
Attualmente il dossier è nella mani del Tribunale vaticano, dove la pubblica accusa è retta dal cosiddetto Promotore di Giustizia, incarico ricoperto dall'avvocato marchigiano Nicola Picardi, docente universitario a Roma. Rossi si è appellato anche al cardinale Cerri, tesoriere dello Ior e alla commissione cardinalizia che ha accesso ai conti dell'Istituto. Il dossier denuncia è stato presentato anche alla Procura della repubblica di Roma, che è competente per territorio visto che Licciardi è cittadino italiano e risiede nella capitale. Spetterà a questi organismi fare luce nelle prossime settimane sull' ennesimo intrigo targato Ior, che potrebbe anche estendersi e configurare un giro d'affari più ampio, gettando nuove ombre sul rapporto tra finanza e Vaticano.

MAI DIRE IOR
Dici Ior e pensi alle trame torbide della finanza degli anni Settanta e Ottanta. Monsignor Paul Marcinkus, Michele Sindona, Roberto Calvi: questi sono solo alcuni dei nomi che nella storia finanziaria italiana hanno incrociato destini e scandali con l'istituto per le opere religiose del Vaticano. Ma lo Ior emerge anche in altre inchieste giudiziarie, come quella, più recente, della Procura di Torre Annunziata su un traffico internazionale d'armi che vide coinvolti il leader nazionalista russo Vladimir Zhirinovski e l'arcivescovo di Barcellona Ricard Maria Charles.
Creato nel 1941 da papa Pio XII, lo Ior è una banca senza sportelli ma con mille ramificazioni. L'unica sede è nel Vaticano: vi si accede dalla Porta di sant'Anna, una delle quattro del colonnato di Bernini. Al Cortile di san Damaso si aprono quattro ingressi, uno di questi (il cortile del Maresciallo) conduce allo Ior. I locali interni sono sobri e silenziosi, animati da giovani seminaristi che raccolgono i sussidi per studiare o da suore che depositano i risparmi per i conventi. Come in tutte le banche che si rispettino i clienti di peso vengono ricevuti all'interno, nelle stanze della direzione.
L'Istituto è un organismo finanziario vaticano - secondo una definizione data dal cardinale Agostino Casaroli - ma non è una banca nel senso comune del termine. Lo Ior utilizza i servizi bancari, però l'utile non va, come nelle banche normali, agli azionisti (che nel caso dello Ior non ci sono) ma risulta a favore delle "opere di religione".
A ogni cliente viene fornita una tessera di credito con un numero codificato: né nome né foto. Con questa si viene identificati: alle operazioni non si rilasciano ricevute, nessun documento contabile. Non ci sono libretti di assegni intestati allo Ior: chi li vuole dovrà appoggiarsi alla Banca di Roma, convenzionata con l'istituto vaticano. I clienti dello Ior possono essere solo esponenti del mondo ecclesiastico: ordini religiosi, diocesi, parrocchie, istituzioni e organismi cattolici, cardinali, vescovi e monsignori, laici con cittadinanza vaticana, diplomatici accreditati alla Santa Sede. A questi si aggiungono i dipendenti del Vaticano e pochissime eccezioni, selezionate con criteri non conosciuti.
Il conto può essere aperto in euro o in valuta straniera: circostanza, questa, inedita rispetto alle altre banche. Aperto il conto, il cliente può ricevere o trasferire i soldi in qualsiasi momento da e verso qualsiasi banca estera. Senza alcun controllo. Per questo, negli ambienti finanziari, si dice che lo Ior è l'ideale per chi ha capitali che vuole far passare inosservati. I suoi bilanci sono noti a una cerchia ristrettissima di cardinali, qualsiasi passaggio di denaro avviene nella massima riservatezza, senza vincoli né limiti. Si racconta, tra leggenda e realtà, che quando Giovanni Paolo II, dopo lo scandalo Calvi, chiese l'elenco di tutti i correntisti dello Ior, si sentì rispondere: "spiacenti, santità, ma la riservatezza dei clienti è sacra".
Lo Ior, che ha una personalità giuridica propria, è retto da un "Consiglio di soprintendenza" controllato da una Commissione di cinque cardinali: si tratta del nucleo di vigilanza. I porporati, però, non hanno generalmente alcuna competenza finanziaria. Il loro dovrebbe essere un controllo morale. Un ruolo più tecnico è svolto dal "Consiglio di amministrazione" composto di cinque laici ed un direttore generale. L'Istituto intrattiene rapporti valutari e creditizi con clienti e banche italiane, opera attivamente sul mercato finanziario internazionale, gioca in borsa, investe, raccoglie capitali; tuttavia, come istituto estero, non è sottoposto ad alcun controllo da parte delle autorità di vigilanza italiane.
da carboni a pisanu
Nella storia dello Ior entrano tutte le facce dell'Italia degli intrighi: oltre ai banchieri, anche faccendieri del calibro di Francesco Pazienza e Flavio Carboni. Quest'ultimo, piccolo imprenditore sardo all'epoca legato ad ambienti politici della sinistra Dc, amico di Armando Corona, repubblicano e Gran Maestro della Massoneria, socio del Gruppo editoriale l'Espresso, era bene introdotto in alcuni uffici vaticani e rappresentò il ponte tra Roberto Calvi, Vaticano e politica.

Carboni conobbe Calvi in Sardegna nel 1981 e riuscì presto a conquistare la fiducia del banchiere, mettendogli a disposizione le sue preziose conoscenze al governo, con in testa un sottosegretario, democristiano e anche lui sardo, Giuseppe Pisanu, che oggi ritroviamo, con abito nuovo, sotto le insegne di Forza Italia, a reggere il ministero dell'Interno.
In quel periodo, Calvi finì in carcere, tentò il suicidio, fu condannato a quattro anni ma tornò in sella al Banco Ambrosiano fino alla misteriosa morte: fu trovato impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra. Caso archiviato come suicidio, ma sempre avvolto nel mistero. Fino alle clamorose dichiarazioni rilasciate un paio di mesi dai familiari del banchiere, che escludono categoricamente il suicidio e con ogni probabilità porteranno a una riapertura del caso.
Così come misteriosa è la morte dell'altro "banchiere di Dio", Michele Sindona, ucciso da una tazzina di caffè avvelenato nella sua cella del carcere di Palermo. Anche Sindona, negli anni Settanta e Ottanta, ha avuto strettissimi rapporti con lo Ior e il Vaticano. Il banchiere avrebbe conosciuto Paolo VI fin da quando questi era arcivescovo di Milano e sarebbe entrato nelle sue grazie fino a ricoprire un ruolo (ovviamente occulto) di primo piano allo Ior: il suo compito sarebbe stato quello di mettere a frutto tutte le sue conoscenze del mondo della finanza internazionale per trasformare lo Ior in un istituto capace di muoversi agevolmente nelle speculazioni borsistiche. Pare che Sindona abbia adempiuto a tale compito senza andare troppo per il sottile: e così sarebbero entrati nelle casse vaticane soldi senza colore e senza odore, provenienti da tutte le parti del mondo.
GLI AFFARI DI TOTO'
"Licio Gelli investiva il denaro dei Corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano". A dirlo non è una persona qualsiasi. È Francesco Marino Mannoia, pentito di mafia in tempi non sospetti. Ruppe gli indugi nel 1984, uno tra i primi con Masino Buscetta. Mannoia era uomo di fiducia di Stefano Bontate, ucciso per mano di sicari di Riina. Dopo l'omicidio di Bontate, Mannoia cercò il giudice Giovanni Falcone e cominciò a raccontare Cosa Nostra. La sua testimonianza fu preziosa nel primo maxi processo. Grazie a Mannoia alcuni boss vennero condannati all'ergastolo.
Quando Mannoia è stato chiamato, alcuni mesi fa, a deporre in video-conferenza dagli Stati Uniti, nell'ambito del processo a Marcello Dell'Utri, ha rivelato che "i soldi della mafia sono finiti per anni nelle casse dello Ior, che garantiva investimenti e discrezione". Ovviamente era necessario un tramite, che per Mannoia era diverso a seconda dei rami della mafia siciliana. Secondo il pentito, i Madonìa erano in affari con Sindona, Riina con Gelli: uguale la destinazione dei capitali.
Mannoia, nella sua ricostruzione va oltre e dice: "Quando il Papa venne in Sicilia e pronunciò un discorso duro contro la mafia, scomunicando i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far esplodere due autobombe davanti a due chiese a Roma". Vera o fantasiosa che sia l'ultima parte della dichiarazione (non esistono riscontri giudiziari), resta il fatto che ancora una volta lo Ior fa la sua comparsa sulla cronaca accoppiato a una trama oscura.

Inviato da alex il

CONDIVIDI...

  facebook icona twitter icona whatapps icona