Il pensiero di Dio era di rivelarsi ad ogni uomo; ma l’umanità si diede all’idolatria, e allora Dio scelse un popolo a cui comunicare la sua rivelazione: Israele. Lo fece secondo la sua sovrana libertà di scelta e non perché avesse dei meriti particolari. La storia di questo popolo dimostra ampiamente che il privilegio di essere depositario degli oracoli di Dio non è automaticamente un segno di nobiltà morale.

 

 La sua origine

Nella famiglia umana che discese da Noè dopo il diluvio, Abramo fu il primo ad essere chiamato da Dio. La conoscenza del vero Dio si era già molto affievolita a causa dell’idolatria sempre crescente. In quell’epoca lontana, la testimonianza di Dio era trasmessa oralmente da una generazione all’altra. Nonostante la lunga durata della vita umana che permetteva a sei generazioni di coesistere, questa trasmissione orale della Parola correva il rischio di profonde falsificazioni. Occorreva dunque una particolare rivelazione di Dio insieme all’azione dello Spirito Santo per rendere possibile il mantenimento di una relazione tra l’uomo e il suo Creatore.

La chiamata di Abramo ci fa conoscere due fatti di fondamentale importanza: la separazione dal mondo, «esci dal tuo paese e dal tuo parentado», e l’ubbidienza della fede, «e vieni nel paese che io ti mostrerò» (Atti 7:3).

In rapporto con la sua discendenza gli vengono fatte promesse incondizionate. Tali promesse sono rinnovate a Isacco e a Giacobbe, i quali devono ancora attendere il loro compimento in un paese in cui vivono da stranieri. La storia di questi tre patriarchi, contenuta nei capitoli 12 e seguenti del libro della Genesi, è piena di istruzioni, e ne avrà grande profitto chi la studierà. Dunque, con Abramo, Isacco e Giacobbe, abbiamo il «ceppo» del popolo d’Israele. Il nome «Israele» fu dato a Giacobbe in occasione di due incontri memorabili con Dio, durante il ritorno dal suo esilio (vedere Genesi 32:28 e 35:10). I dodici figli di Giacobbe diventarono i padri, i capostipiti delle dodici tribù d’Israele la cui storia riempie l’Antico Testamento.

 

 La sua organizzazione

Dio aveva già predetto ad Abramo che i suoi discendenti avrebbero soggiornato in un paese straniero come schiavi per quattrocento anni; e ciò avvenne in Egitto, da quando Giuseppe, venduto dai suoi fratelli, diventò governatore di quel paese. Dopo avervi fatto abitare la propria famiglia per preservarla da una grave carestia, Giuseppe morì e nel paese ci fu un cambiamento di dinastia. I Faraoni che regnarono da quel momento in poi angariaron il popolo d’Israele, che nel frattempo, divenne molto numeroso. Allora Dio suscitò Mosè che, miracolosamente, entrò alla corte del Faraone dove fu allevato ed istruito in tutte le conoscenze possedute da quel popolo. Nelle sue vie, Dio voleva dunque dotare Israele di un liberatore in grado di guidarlo e ammaestrarlo; ed anche formare un legislatore in grado di scrivere gli ordini da Lui dettati per comunicarli al popolo.

La rivelazione fatta da Dio a Mosè sul monte Horeb, nel fuoco del cespuglio spinoso, è il punto di partenza della relazione di Dio con il popolo d’Israele. La successiva fuga del popolo dall’Egitto con il sacrificio della Pasqua e la traversata del Mar Rosso è anche un punto di partenza, visto da parte dell’uomo. Non appena il sangue dell’agnello della Pasqua, prefigurazione di quello di Gesù Cristo, «l’Agnello di Dio», venne sparso all’ingresso delle case degli Israeliti, il popolo fu appartato, in vista della liberazione. Uscito dall’Egitto attraverso il Mar Rosso, fu guidato da Dio stesso, per essere in seguito introdotto nel paese promesso ad Abramo: la Palestina.

Ma un popolo di più di due milioni di persone aveva bisogno di una legislazione. Come fare? È ancora l’Eterno che, per mezzo degli angeli, diede al suo popolo una legge che rimase un modello fino alle nostre generazioni. Nulla è lasciato in balia della fantasia dell’uomo. Tutto si basa su ciò che Dio aveva comandato a Mosè sia sul monte Sinai, sia successivamente dall’interno della cosiddetta «tenda di convegno». Tutti gli insegnamenti sono dati, sia per quanto riguarda il culto, che per la vita corrente.

 

 Il suo destino

Il pensiero di Dio riguardo al suo popolo è stato comunicato ad Abramo, è stato ripetuto a Mosè e confermato molte volte dai profeti. È il soggetto della lode di Israele, già sulle rive del Mar Rosso: «Tu li introdurrai eli pianterai sul monte del tuo retaggio, nel luogo che hai preparato, o Eterno, per la tua dimora, nel santuario che le tue mani, o Signore, hanno stabilito» (Esodo 15:17). Il desiderio di Dio era di abitare in mezzo al suo popolo e rendere questo popolo perfettamente felice intorno a Lui. Per rendere possibile la realizzazione di un simile piano d’amore, Dio nel corso del tempo ha utilizzato tutti i mezzi possibili; e alla fine, duemila anni fa, ha inviato il suo proprio Figlio. Purtroppo, tutto sembra essere stato vano: la legge data da Mosè è stata violata, i profeti che vennero successivamente non sono stati ascoltati, e il Figlio fu messo a morte!

Cosa farà Dio? Manterrà le sue promesse? La costante ribellione del suo popolo distoglierà per sempre i progetti di Dio a suo riguardo? L’unica risposta a queste domande è basata sulla misericordia divina, come leggiamo in Romani 11:29-32: «I doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento. Poiché, siccome voi siete stati in passato disubbidienti a Dio ma ora avete ottenuto misericordia... così anch’essi (Israele) sono stati disubbidienti, onde ottengano misericordia. Poiché Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per fare misericordia a tutti». Il profeta Michea l’aveva già dichiarato alla fine del suo messaggio: «Qual Dio è come te, che perdoni l’iniquità e passi sopra alla trasgressione del residuo della tua eredità? Egli non serba l’ira sua in perpetuo, perché si compiace d’usar misericordia. Egli tornerà ad aver pietà di noi, si metterà sotti i piedi le nostre iniquità e getterà nel fondo del mare tutti i nostri peccati. Tu mostrerai la tua fedeltà a Giacobbe, la tua misericordia ad Abrahamo, come giurasti ai nostri padri, fino dai giorni antichi» (Michea 7:18-20).

Sì. Dio benedirà il suo popolo, in un tempo futuro ma non lontano, quando si sarà rivolto al Signore Gesù, colui che hanno trafitto, e con profonda umiliazione confesseranno il loro delitto (vedere Zaccaria 12:10-14). Allora il Signore apparirà in gloria agli sguardi sorpresi dei fedeli di quel tempo che gli diranno: «Che son quelle ferite che hai nelle mani? Ed Egli risponderà: Son le ferite che ho ricevuto nella casa dei miei amici» (Zaccaria 13:6). Allora verrà stabilito il Regno di mille anni, regno di giustizia e di pace al quale tutto il mondo aspira e che porterà Israele a godere finalmente delle promesse fatte ad Abrahamo quattro millenni fa.

 

 Il privilegio di questo popolo

Attualmente Israele è in stato di disgrazia. Già il profeta Osea l’annunciava dicendo: «Mettigli nome Lo-ruhama (che significa «che non ottiene misericordia») perché io non avrò più compassione della casa d’Israle... Mettigli nome Lo-ammi (che significa «non più mio popolo») perché voi non siete mio popolo, e io non sono vostro» (Osea 1:6,9).

Lo stato di Israele, tuttavia, non ostacola la bontà di Dio che si manifesta sempre attiva nei riguardi di chi si volge verso di Lui, tanto fra i Giudei quanto fra le altre nazioni. Ma il ripristino delle relazioni privilegiate dell’Eterno con Israele avrà luogo soltanto più tardi, dopo che i credenti dell’attuale periodo della grazia, che costituiscono la Chiesa del Signore, saranno riuniti nella casa del Padre. Paolo scrive che «un indurimento parziale si è prodotto in Israele, finché sia entrata la pienezza dei Gentili (con quest’espressione si intendono i salvati delle altre nazioni che non sono Israele); e così tutto Israele sarà salvato... Per quanto concerne l’Evangelo, essi sono nemici...; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati per via dei loro padri; perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento» (Romani 11:25-29).

Questo popolo, posto sotto il castigo di Dio a causa della sua disubbidienza, rimane tuttavia un popolo privilegiato: «Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? O qual è l’utilità della circoncisione? Grande per ogni maniera; prima di tutto, perché a loro furono affidati gli oracoli di Dio» (Romani 3:1-2). Di loro è ancora detto: «Ai quali appartengono l’adozione e la gloria e i patti e la legislazione e il culto e le promesse; dei quali sono i padri, e dai quali è venuto, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno» (Romani 9:4-5).

Le promesse riguardanti Israele riempiono la Parola di Dio. Sono state pronunciate fin dai tempi antichi, sia da Dio stesso, quando s’è rivolto ai patriarchi, sia da Giacobbe nel magnifico capitolo 49 della Genesi, sia, anche se involontariamente, dall’indivino Balaam nei capitoli 23 e 24 dei Numeri in cui leggiamo espressamente: «Ecco, è un popolo che dimora solo, e non è contato nel novero delle nazioni» (Numeri 23:9). Il fatto che questo popolo abbia mantenuto la propria identità, nonostante la sua dispersione nel mondo e le innumerevoli persecuzioni subite, rimane un mistero e conferma la veridicità della Parola di Dio. È straordinario leggere nella Bibbia descrizioni profetiche scritte più di duemila anni fa riguardo ad Israele e che corrispondono esattamente a quanto gli è accaduto, e a quanto gli accade oggi e gli accadrà ancora.

La caratteristica del popolo giudeo, che ha attirato su di sé molto odio e che suscita pure la gelosia di molti popoli vicini, corrisponde esattamente alla sua storia come ci è rivelata nella Parola di Dio. Accecato com’è per aver rifiutato Cristo, e sotto l’influenza di Satana che gli ha oscurato il cuore, questo popolo ha sempre usato la propria ingegnosità per soddisfare il suo orgoglioso desiderio di dominio. Quando, con sincero pentimento, si volgerà verso il Signore e gli si sottometterà, allora ci sarà per lui una completa riabilitazione.

 

 Le tribolazioni d’Israele

Già anticamente, in Egitto, i figliuoli d’Israele conobbero la tribolazione. Quando sorse nel paese un nuovo Faraone che non aveva conosciuto Giuseppe, essi furono sottomessi ad una terribile schiavitù. Un Faraone decretò persino di uccidere tutti i neonati di sesso maschile (Esodo 1:15-20), pensando di annientare così per sempre quella razza che gli faceva paura. In Faraone possiamo discernere l’opera di Satana stesso, intento con tutti gli sforzi possibili ad impedire che da Israele nascesse il Messia, il Salvatore, secondo la promessa di Dio. Ricordiamo infatti che già ad Eva l’Eterno aveva promesso che la sua discendenza (Cristo) avrebbe schiacciato la testa del serpente (Satana). Poi aveva precisato che il Cristo sarebbe venuto dal popolo di Israele. Così Satana ha ripetutamente cercato di impedire che questo avvenisse; ma Dio non ha mai permesso che si realizzassero i suoi diabolici disegni.

Il rinnegamento del Messia, Gesù Cristo, da parte di Israele e la sua crocifissione hanno attirato su questo popolo un terribile giudizio. L’espugnazione di Gerusalemme e la dispersione dei Giudei fra le nazioni, avvenuta nel 70 d.C. per opera dei Romani, sono state le conseguenze dirette di quell’atroce delitto. Son quasi duemila anni che il popolo Giudeo soffre tribolazioni sconosciute a qualunque altra nazione. I ghetti, le razzie e i campi di sterminio sono nella memoria di tutti. Satana sta dietro la scena, non c’è dubbio, sempre con lo scopo di nuocere al compimento dei piani divini. Ma, nonostante ciò, essi si realizzeranno per la gloria del Signore e Salvatore Gesù Cristo, per la completa riabilitazione d’Israele e per la benedizione di tutto il mondo. Ma fino a quel momento ci sarà ancora un terribile tempo di prova per i Giudei, «un tempo di distretta per Giacobbe; ma pure ei ne sarà salvato» (Geremia 30:7). Questa tribolazione senza precedenti, limitata a tre anni e mozzo è preannunciata sia dai profeti che dal Signore Gesù e dagli apostoli. Ci sarà fra poco e, alla fine, il Signore apparirà in gloria.

Fredy Gfeller

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