Rubinho, dopo aver parato il rigore a Sansovini, sabato, lei ha parlato al cielo...
«Certo. Ho ringraziato Dio per quel momento. Solo lui sa quanto ho sofferto negli ultimi mesi e dopo quella parata gli ho detto grazie».

Lei è molto religioso.
«Sì, sono cristiano-evangelico, sono un Atleta di Cristo».

Come Kaká, Cavani, Legrottaglie. E Felipe Melo: è suo amico?
«Per la verità non lo conosco. Le nostre mogli hanno in comune un'amica e so che stanno organizzando un incontro per vederci e scambiare quattro chiacchiere».

Felipe Melo sembra più brasiliano di lei.
«Lui è carioca, quindi più allegro, più espansivo. Io sono paulista, più riservato e riflessivo».

Siete gli opposti, insomma.
«In senso buono, detto con ri­spetto, in Brasile noi siamo quelli che lavorano di più, però Felipe mi sembra migliorato tantissimo dopo la sua esperienza in Europa. Da noi in Brasile si dice: se sei a Roma devi essere romano. E allora se sono a Torino mi devo adattare alla mentalità torinese, cer­cando di fare bene il mio lavo­ro e di avere sempre il giusto equilibrio nella vita privata».

Ci aiuti a capire la vostra confessione.
«Per noi Gesù è stato ed è il nostro unico salvatore. Noi non crediamo ai Santi e ai simboli della Chiesa cattolica, ma solo al [Nuovo e] Vecchio Testamento [la Bibbia, ndr]».

Quindi niente Messe?
«No, i nostri sono Culti. Ed è lì che è cambiata la mia vita».

Come?
«Io non conoscevo Gesù. L'ho incontrato un pomeriggio a casa di mio fratello, in uno dei periodi più delicati della mia esistenza».

Ci racconti, se le fa piacere.
«Io stavo per sposarmi con la ragazza che oggi è mia moglie, Karina, ma i miei genitori non presero tanto bene quella notizia. Vivevo ancora in casa, passai tre o quattro mesi in cui più di una volta rischiai di esplodere. In quel famoso pomeriggio andai a casa di Zé Elias, mio fratello, per vedere i nipotini e lì partecipai con Karina a una riunione, un Culto come diciamo [anche] in Brasile, per ringraziare Gesù. Mio fratello ci disse: aprite il vostro cuore e Gesù risolverà i vostri problemi».

E andò proprio così?
«Non subito, ovviamente. Ma nel giro di due mesi l’atteggiamento dei miei genitori cambiò. Oggi, quando chiamo casa, mia mamma sta cinque minuti al telefono con me, poi parla per un’ora con Karina e con nostro figlio Felipe. E mio padre, quando mi cerca, chiama sul telefono di mia moglie: tanto siamo sempre insieme, quando non lavoro».

Che differenza c’è tra Rubinho prima dell'incontro con Gesù e quello di oggi?
«Come il giorno e la notte, e il giorno è oggi. Prima ero nervoso, cattivello, se c’era mezza rissa subito ci entravo. Ascoltavo rock durissimo, la musica metallica. Non avete idea di quante settimane mi sono allenato con le giovanili, per punizione dopo una brutta entrata in allenamento. Oggi sono tranquillo, in macchina ascolto gli Hillsong United e le Christian band e prima delle partite prego perché nessuno si faccia male».

E come si pone al cospetto di chi bestemmia?
«Io non lo concepisco, ma devo sopportare. Non dico niente perché io non sono nessuno, e comunque a giudicare c’è chi è più grande di noi. Non è solo un problema del calcio, lo sento nella vita di tutti i giorni: e allora credo che anche le campagne contro la bestemmia, viste queste cattive abitudini, sarebbero inutili qui in Italia».

L'intervista completa è su Tuttosport del 25 febbraio 2011

di: Piero Venera
Inviato da alex il

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