"Fratelli, non vogliamo che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza." 1Tessalonicesi 4:13  Ogni giorno che passa è un passo avanti verso l'eternità. Forse siamo sulla soglia. Vi propongo di entrarvi subito.
 
Quel che vedremo, come in visione profetica, ci aiuterà a portare meglio il nostro fardello. [...] Prima di tutto qualche parola sulla morte. Non credo ch'essa sia il termine definitivo del nostro destino.

Essa non è che un cattivo passaggio da mettere fra parentesi. Qualcuno m'ha detto una volta ch'essa è una tappa della vita. Lo credo. Un giorno, si dirà di ciascuno degli eletti: «Nato in tale anno, morto da tale data a tale data, e ora vivente per l'eternità».
 
Guardate costui: la sorte si è accanita contro di lui, i suoi nemici lo hanno perseguitato, torturato, fatto a pezzi e avendo distrutto il corpo hanno creduto di averlo annientato per sempre. Invece ora egli vive. Guardate quest'altro, che la malattia ha roso fibra per fibra, in modo lancinante, fino all'ultimo respiro, adesso egli è guarito. E questo fanciullo, che un automobilista aveva investito all'angolo di una strada, ora la mamma, consolata di tante lacrime, lo tiene ben stretto fra le braccia.
 
Si realizzano finalmente le parole di cui attendevamo disperati il compimento: «Dio stesso sarà con loro; e asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro, e la morte non sarà più; né ci saran più cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate» (Apocalisse 21:4).
 
Oh! Se potessimo contemplare più spesso l'eternità...
 
«Follia», diranno alcuni. La fede è fatta di queste follie. Si tratta di credere o di non credere. Non credo soltanto alle cose verosimili, credo a ciò che mi dice il mio Dio.
Si obietterà ancora: «È facile pronunciare belle parole dinanzi a coloro che piangono! », «non vi ascolteranno!». Pertanto mi rivolgo proprio a loro. E so che mi ascolteranno. Poiché non parlo d'immaginazioni umane, ma riferisco la promessa divina!
Dunque la morte è un'intrusa. Le Scritture dicono ch'essa è il salario del peccato (Romani 6:23), che per mezzo del peccato essa è entrata nel mondo e si è estesa su tutti gli uomini (Romani 5:12).

È un'ingiustizia, direte voi, dover subire questa pena ereditaria senza averla voluta!... In realtà non è tanto la morte che ricevo dai miei padri (la Scrittura dice in qualche passo che certi profeti d'altri tempi, per aver camminato fedelmente con Dio, non l'hanno conosciuta affatto) ma la tendenza morbosa verso il peccato. Così ogni volta che mi abbandono al peccato (a cui cedo volentieri perché mi attira), esso opera per la mia distruzione.
Questa è la fede cristiana: la morte non è un fatto naturale. La morte è un accidente che viene a turbare il progetto divino dell'armonia e della bontà.

Da allora, per vincere la morte, mi abbandono alla sapienza del mio Dio. Accetto, perché vedo al di là di questa vita. Credo che se la morte fosse stata un male definitivo Dio, nella sua bontà, non l'avrebbe tollerata per i suoi figliuoli. Credo che, per quanto malvagia nella sua essenza, essa possa perdere di colpo tutto il terrore che ci ispira. «O morte, dov'è la tua vittoria -esclama l'apostolo Paolo -o morte, dov'è il tuo dardo» (1 Corinzi 15:54, 55).

Non che io provi quest'angoscia fisica e morale all'avvicinarsi della mia morte o di quella dei miei cari. Piango, come anche Gesù ha pianto per il suo amico Lazzaro. Non ci si separa dai propri cari senza tormento. E noi stessi esitiamo dinanzi al grande salto. Ma infine, riavendomi, mi rimetto fiducioso come Gesù all'immenso piano del mio Padre Celeste: «Non la mia volontà, ma la tua» (Luca 22:42).
«Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figliolo e crede in Lui abbia vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Giovanni 6:40).

N. Hugedé, "Cristo questo sconosciuto" - Edizioni AdV
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