Matrimonio e patrimonio La chiamata che il Signore rivolge all’uomo è a uscire fuori. Abramo è stato chiamato fuori dalla casa di suo padre, che a sua volta era uscito da Ur dei Caldei (Genesi, 12:1 e 11:31). Israele è stato chiamato a uscire prima dall’Egitto (Esodo, 3:10) e poi da Babilonia (Isaia, 48:20). Anche oggi i credenti sono chiamati a uscire per fede da questo mondo, di cui Egitto e Babilonia sono una prefigurazione simbolica (Apocalisse, 11:8 e 18:4). Non siamo chiamati a uscire fisicamente dal mondo: siamo anzi lasciati/mandati nel mondo per essere di testimonianza e di luce (Giovanni 9:5, Giovanni 12:46, Giovanni 17:11-16). Ma, spiritualmente, dobbiamo uscire da questo mondo e non partecipare ai suoi peccati e piaceri (1Giovanni 2:15-16).

Chiesa, etimologicamente, significa "chiamata fuori" (in greco il sostantivo Ek-klesia viene dal verbo kaléo che significa "chiamare" e dalla preposizione ek- che significa "fuori da"). Anche individualmente, l’uomo è chiamato fuori. Prima deve venire alla luce dal grembo materno, poi deve uscire dalla solitudine in cui entra con l’adolescenza. Poi Dio il Signore disse: Non è bene che l'uomo stia da solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui. Genesi, 2:18 Il matrimonio è la via attraverso cui l’uomo esce dal deserto della sua solitudine: esce cioè dalla sua famiglia d’origine nella quale si era ormai staccato dai genitori, per formarsene una propria, nella quale non è più da solo, ma diventa anche fisicamente una sola cosa con la moglie (il coniuge) che Dio gli ha dato. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne. Genesi, 2:24 Nella Bibbia, esplicitamente nella lettera agli Efesini (5:22-33), l’unione tra marito e moglie è una figura del rapporto tra Dio e il suo popolo, tra Cristo e la chiesa. Ora, la chiesa è formata da uomini e donne e anzi, normalmente, è guidata da uomini. Ma, di fronte al Re, al Mashiach, le rimane il genere femminile. Perché è Cristo l’unico che ci può guidare nel regno di Dio e tutti, donne e anche uomini, devono obbedire a Lui.

Così, se l’uomo che si sposa deve lasciare suo padre e sua madre, tanto più lo dovrà fare la donna. La Bibbia parla dell’uomo perché è il marito che ha la responsabilità di dare l’esempio e guidare tutta la famiglia in questo cammino verso il mondo a venire. Ma ovviamente anche la donna deve lasciare la casa dei suoi. Alla sposa, figura della chiesa, è difatti chiesto di dimenticare la sua vita di prima. Ascolta, fanciulla, guarda e porgi l’orecchio; dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre e il re s’innamorerà della tua bellezza. Egli è il tuo signore, inchinati a lui. Salmi, 45:10-11 Questo vale per tutti. Lasciare il nostro passato è uno sforzo richiesto a tutti noi, maschi e femmine. Ma è uno sforzo che non dobbiamo fare da soli. Dio è accanto a ciascuno di noi, per aiutarci e incoraggiarci. Possiamo lasciare il passato perché ci viene promesso un futuro. Una nuova eredità, diversa dal patrimonio accumulato dai nostri padri. Infatti io so i pensieri che medito per voi, dice il Signore: pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza. Geremia, 29:11

Esistono insomma due eredità: una viene dai padri terreni e l’altra dal Signore, il nostro Padre celeste (Matteo 23:9).

Una appartiene al passato, l’altra si riferisce alla vita futura. Una produce la sostanziale solitudine dell’adolescenza, l'altra porta alla comunione del matrimonio. Casa e ricchezze sono un’eredità dei padri, ma una moglie giudiziosa viene dal Signore. Proverbi, 19:14 In un certo senso, tutto quello che siamo viene dal nostro passato.

Oltre ai beni, dai padri si ereditano anche i mali: malattie, debiti e problemi. Ogni popolo e ogni famiglia ha il suo bagaglio di ricchezze e di povertà, di virtù da mettere a profitto e di vizi da combattere: il patrimonio materiale, culturale e genetico che ci definisce e ci distingue dagli altri, anche all’interno della stessa famiglia. L’eredità terrena difatti divide gli stessi fratelli, perché il patrimonio, sia genetico che pecuniario, viene suddiviso e non sempre equamente. Ora uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma Gesù gli rispose: «Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?». Luca, 12:13-14

Mentre la nuova vita nella propria famiglia è (almeno idealmente) fondata su di un vincolo di amore, la famiglia da cui si esce e tanto più la famiglia estesa da cui è uscita la nostra prima famiglia è spesso teatro di più o meno espliciti conflitti di interesse, che si esprimono con discordie, litigi, ricatti, insistenze, minacce e altre forme di manipolazione.

Quando si raffredda l’amore che ha formato il primo nucleo familiare, sorge facilmente la paura che siano lesi i propri interessi o quelli della casa. E allora, certe volte anche "per il bene" dei nostri parenti (o i parenti per il nostro "bene"), trasformiamo la vita assieme in un complesso equilibrio di forze. Ma Dio ci chiama fuori anche da questa faticosa diplomazia. Non pensate che io sia venuto a metter pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell’uomo saranno quelli stessi di casa sua. Matteo, 10:34-36 La nuova vita non è conciliabile con la vecchia, gli interessi dello spirito non si aggiustano con quelli della carne (Matteo 6:24, Galati 5:17).

Certamente, anche le ricchezze vengono da Dio, assieme a ogni tipo di benedizione (Proverbi, 10:22). A Dio appartiene ogni cosa ed è il Signore che ci dà i beni che ci permettono di vivere felici e contenti anche su questa terra.

A cominciare dal corpo, con cui, tra l’altro, lavoriamo e guadagniamo il denaro che ci serve per acquistare i prodotti del lavoro degli altri. Anche l’intelligenza e un carattere giudizioso, gli insegnamenti e la capacità di non disperdere l’eredità ricevuta dai padri fanno parte di questo bagaglio di benedizioni. Israele ha ereditato le benedizioni di Abramo per essere di benedizione tra tutte le nazioni e queste benedizioni si estendono, secondo la promessa, per mille generazioni, arrivando così fino a oggi. Riconosci dunque che il Signore, il tuo Dio, è Dio: il Dio fedele, che mantiene il suo patto e la sua bontà fino alla millesima generazione verso quelli che lo amano e osservano i suoi comandamenti. Deuteronomio, 7:9 (cfr anche Esodo, 20:6 e 34:7; Deuteronomio, 5:10 e 7:9)

Ma la benedizione che si riceve in questa vita per il bene che ci siamo lasciati usare a fare (o in quanto discendenza di coloro che hanno amato il Signore) non garantisce in sé la salvezza, perché può produrre anzi ingratitudine. Anche individualmente, la benedizione che riceviamo per le nostre opere giuste non può essere accumulata, né produrre un merito che ci garantisca la salvezza. Il nostro passato è passato e non serve più a nulla, soprattutto se ci mettiamo a riposare sugli allori che ce ne sono derivati (Ezechiele, 33:12-20). Tutte queste benedizioni ci portano anzi facilmente a insuperbire, dimenticando che è stato il Signore a benedirci (Deuteronomio, 8:11-14, Proverbi, 30:7-9). Per questo Gesù ci dice di non cercare i beni di questa terra, ma il regno di Dio (Matteo, 6:36), cioè Dio come nostro Re: Cristo nostro Salvatore e nostro Signore. «Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov'è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore. Matteo, 6:19-21

I tesori in terra sono anche la fama e il successo di cui possiamo godere agli occhi degli uomini, che possiamo anche ingannare con un'apparenza di amore o trattare con superficialità. Avere un tesoro in cielo significa invece avere il nostro amico lì dove ogni cosa è trasparente (anche l’oro: Apocalisse, 21:21). Allora anche i desideri e i pensieri del nostro cuore saranno rivolti verso Colui al quale non si può nascondere niente (Salmi 139:1-12, Ebrei 4:12-13). Vivendo in vista della nuova vita con Dio, possiamo capire il senso vero della sua parola e non essere ingannati da chi usa ricchezza o povertà, vantaggi o svantaggi in questa vita, per sedurci con il richiamo del nostro passato, o minacciarci con lo spauracchio dell’inevitabile fine del nostro presente. Infatti sono geloso di voi della gelosia di Dio, perché vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo. 2Corinzi, 11:2

Una vita vissuta nella verità dell'amore di Dio è ciò che in una parabola Gesù ha chiamato "l'abito delle nozze", cioè il vestito interiore di castità e purezza che il Signore si aspetta di trovare in coloro che hanno lasciato la loro vita con le aspettative loro e delle loro famiglie per aspettare il regno dell'amore di Dio (Matteo 22:11-12, 1Giovanni 3:3). Coeredi di Cristo Lasciando la casa dei nostri padri terreni per quella del Padre celeste, usciamo da un popolo che non era veramente un popolo (Osea 2:20-25, 1Pietro 2:10) ed entriamo a far parte di una realtà che non è solo collettiva, ma anche comunitaria.

In ebraico, la parola che significa "popolo" (‘am) si scrive con le stesse lettere con cui si scrive l’equivalente della preposizione "con" (‘im). Un popolo che si basa sull’eredità del passato non può essere realmente unito e difatti quelli che non appartengono a Israele sono i popoli al plurale: goyim (plurale che significa "popoli", "nazioni", "genti" e che viene dalla radice gw, che significa "corpo").

I popoli pagani che non conoscono il Signore come unica vera realtà hanno un'idea molto confusa di cosa sia il matrimonio. Non solo nelle più o meno crudeli civiltà dell’Oriente, dell’Africa o delle "Isole" (come la Bibbia chiama collettivamente il Nuovo Mondo), ma anche nella nostra raffinata classicità greco-latina, matrimonio e patrimonio sono sempre stati intimamente legati, nel senso che il matrimonio, più che come un'esperienza d'amore e di reciproco dono di sé, è visto innanzitutto come uno strumento di conservazione o di crescita del proprio potere, o di quello della propria casa. Con la conseguenza che il "vero amore" si tende a cercarlo al di fuori. In una società basata sul patrimonio, l'amicizia nella famiglia e tra le famiglie sarà sempre in difficoltà. Sia perché le differenze patrimoniali o culturali verranno sentite come barriere tra i giovani di diversa cultura/estrazione sociale, sia perché corteggiamenti e seduzioni extra-coniugali costituiranno una continua insidia e una fonte di tensione e diffidenza che impedirà lo sviluppo di una reale amicizia tra gli individui adulti.

Al contrario, una famiglia e una società fondata sull'amore e sulla fedeltà coniugale è una società in cui le persone possono essere educate all'amicizia e all'ospitalità in tutte le età della loro vita. Nella Bibbia l’amore coniugale ha un valore per sé, che non può essere messo sullo stesso piano della conservazione dei beni patrimoniali (Cantico dei Cantici, 8:7). Al matrimonio è infatti data la massima importanza (Ebrei, 13:4). L'amore tra i coniugi non è destinato a raffreddarsi (Proverbi, 5:19), come non deve raffreddarsi quello della chiesa per Cristo. Alla chiesa di Efeso Paolo scrive: Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei (…). Efesini, 5:25 Il Signore non ha certo amato il suo popolo di un amore che invecchia (Geremia, 31:3).

Allo stesso modo non vuole che si raffreddi - anzi che nemmeno si intiepidisca - il nostro amore per lui. Lo Spirito rimprovera apertamente la chiesa di aver lasciato il suo primo amore, entrando in una specie di religiosa routine (Apocalisse, 2:4 e 3:16).

Se nel mondo il raffreddarsi dell'amore per il nostro prossimo è un processo quasi inevitabile (Matteo 24:12), nella chiesa questo non deve avvenire. Infatti, mentre gli interessi terreni ostacolano l'amore per gli altri (a cominciare da quello per i nostri familiari), quelli celesti ci possono dare invece la pazienza e la delicatezza di Cristo anche nella famiglia e nelle società in cui viviamo - sempre più globali e multi-etniche (anche le chiese locali oggi sono diventate internazionali e, per comprendersi e amarsi provenendo da culture con valori, metri e riferimenti tanto diversi, occorre un grazia speciale).

Se l’eredità terrena ci divide dal nostro prossimo, quella celeste ci unisce agli altri esseri umani, perché ci appartiene non come individui, ma come parte del popolo di Dio. L'eredità di Dio non è infatti un salario per le opere compiute da noi o dai nostri padri (Romani, 4:1-22), non c'entra con il nostro curriculum vitae o con la nostra genealogia.

Non deriva dalle nostre opere, ma da una promessa d’amore. Una promessa che ci è rivolta personalmente, ma non certo esclusivamente. Infatti l'erede è innanzitutto Cristo. Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose... mediante il quale ha pure creato l’universo. Ebrei, 1:1-2

Non ereditiamo quindi da soli ma assieme a Cristo, il vero erede (cf anche Matteo, 21:38). È lui che ha pagato con la sua vita perché, riscattati dalla nostra eredità passata, potessimo entrare in quella futura. Grazie al suo sacrificio, siamo stati liberati da ogni vanto che ci faceva sentire più degni degli altri e anche, soprattutto, dall’infamia del nostro peccato, perché "senza spargimento di sangue, non c’è perdono" (Ebrei, 9:22) e senza perdono non c’è libertà dal passato.

Con Cristo, "primogenito tra molti fratelli" (Romani, 8:29), non siamo da soli, ma assieme a tutti gli altri credenti, come parte della chiesa, sua sorella e sua sposa (Cantico dei Cantici, 4:9-12). Questa è l'amicizia del matrimonio a cui Gesù alludeva parlando degli "amici dello sposo", quando diceva che non possono digiunare se lo sposo è con loro (Matteo 9:15, Marco 2:19, Luca 5:34). Un’amicizia che ci lega a Dio e anche tra di noi, membri di un unico corpo, che è anche il corpo di Cristo (1Corinzi, 12:12-27). In questo corpo nuovo non si devono più essere le barriere sociali che derivano dalle differenti eredità ricevute dai padri e che dividono le persone nelle società pagane.

Guardando alla comune eredità celeste, possiamo superare le differenze di classe e di cultura che provengono dal nostro passato familiare e individuale. Difatti l'apostolo Giacomo rimprovera con fermezza i credenti che danno il benvenuto ai ricchi e disprezzano i poveri.

Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Giacomo, 2:5

Parlando delle benedizioni ereditate dai suoi antenati, Paolo dice di avere ricevuto un considerevole patrimonio "spirituale", ma di averlo anche lasciato per Cristo. …io, circonciso l’ottavo giorno, della razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d’Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo. Filippesi, 3:5-7

Si tratta sempre dello stesso cammino: lasciare le ricchezze che ci danno sicurezza davanti agli uomini ma che ci separano da Dio e dagli altri, per ricevere "il mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti" (Colossesi, 2:2-3).

Perché la sapienza, cioè il timore di Dio (Salmi 111:10, Proverbi 1:7 e 9:10), non si può ottenere se non decidiamo di non coltivare più il timore degli uomini e i suoi strumenti: le ricchezze e il potere con cui ci difendiamo dal potere delle ricchezze degli altri. La sapienza va acquistata a costo di tutto quello che possediamo (Proverbi, 4:7).

Ma la Scrittura ci assicura che ne vale certamente la pena. È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo; è meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei prìncipi. Salmi, 118:8-9

Assieme a Cristo, ricevendo cioè Gesù come Signore della nostra vita, acquistiamo una nuova speranza e nuovo coraggio. Così dunque, fratelli, non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne; perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete; infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui.Romani, 8:12-17

Eredi per fede come Davide che, pur essendo il vero re, è stato perseguitato da Saul che aveva perso il regno, così anche Cristo, Re dell’Universo, è stato perseguitato dalle autorità religiose ed è stato flagellato e crocifisso da quelle politiche. Noi non dobbiamo aspettarci niente di diverso (Luca 23:31).

Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. 2Timoteo, 3:12

Cristo ha promesso che chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del suo nome erediterà la vita eterna (Matteo, 19:29). Ha detto che riceveremo già in questa vita cento volte tanto di quello che avremo lasciato, ma ci ha anche garantito che non ci mancheranno le persecuzioni (Marco, 10:30). Appunto perché la vera eredità non la riceviamo in questo mondo.

La riceviamo sì in questa vita, ma in vista di quella a venire. Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura. Ebrei, 13:14

È stato così anche per l’eredità promessa ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Abramo aveva avuto promessa da Dio tutta la terra di Israele, ma dovette comprare a caro prezzo anche il campo dove seppellì sua moglie Sara (Genesi, 23:15-16). Per fede Abramo, quando fu chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in terra straniera, abitando in tende, come Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché aspettava la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio. Ebrei, 11:8-10

Se è vero che, con la venuta di Cristo, quella che era la "minore età" di Israele è giunta al suo compimento e ora non siamo più servi ma figli ed eredi (Galati, 4:1-7), è anche vero che la perfezione non è ancora arrivata (1Corinzi, 13:10). Il nostro corpo, fatto com'è di eredità terrena, ci impedisce di avere piena comunione con Dio. Questo è stato il sentimento di tanti uomini di Dio, da Giobbe (Giobbe, 19:26) a Giovanni Battista (Giovanni, 3:30-31), e anche Paolo ci conferma che "mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore" (2Corinzi, 5:6).

Fino a quando il Signore non tornerà nella sua gloria, l'uomo, per quanto sia da sempre il destinatario e l'erede di tutta la creazione, deve vivere come uno straniero, senza un posto dove poter stare al sicuro in questa terra. Gesù stesso lo ha detto: Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo hanno dei nidi, ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo. Matteo, 8:20

Questa condizione non è per sempre, perché per i credenti c’è un sabato eterno (Ebrei 4:9-11) in cui potremo entrare nel riposo del Signore, riposandoci anche dalla nostra fatica di vivere come stranieri e di convivere con le nostre imperfezioni e con quelle degli altri. Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù. Filippesi, 3:13-14

Il premio della chiamata di Dio non è ubicato in un futuro terreno che non arriva mai, ma in un futuro eterno che condiziona anche il nostro presente, dandoci una gioia e una pace che derivano la loro certezza dalla fedeltà di Colui ha fatto le promesse (Ebrei, 10:23). Nella lingua della Bibbia, il futuro – che equivale all'imperfetto – è il tempo delle cose che avvengono sempre.

Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore. Salmi, 119:111

La parola testimonianza in ebraico viene dalla stessa radice con cui si ferma l'avverbio che significa "ancora" ('od). Il passato della testimonianza di Dio è il passato delle cose che sono avvenute come segno di quelle che avverranno ancora. In questa speranza, che viene dalla certezza delle promesse eterne di Dio, possiamo rallegrarci di una gioia viva e presente. Il Signore è la mia parte di eredità e il mio calice; tu sostieni quel che mi è toccato in sorte. La sorte mi ha assegnato luoghi deliziosi; una bella eredità mi è toccata! Salmi, 16:5-6

Questa eredità è conservata per noi in cielo. Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi… 1Pietro, 1:3-4

In questa eredità incorruttibile non si entra certo per le opere della carne (che ci impediscono anzi di parteciparne, come l'apostolo Paolo ripete più volte, per es. in 1Corinzi 6:9-10, Galati 5:21, Efesini 5:5) e neanche per quelle della legge (che non ci rendono giusti davanti a Dio, Romani 3:20). Non si entra nemmeno solo per essere fisicamente parte della discendenza di Israele, perché ci possono entrare tutti gli uomini di tutte le nazioni (Efesini, 3:6). Si entra piuttosto ricevendo l’ubbidienza di Cristo, cioè per fede e pazienza (Ebrei, 6:12). Infatti non sono quelli che stanno bene oggi o che oggi si sentono a posto che possono consolarsi con le promesse di Dio.

Piuttosto sono i poveri nello spirito e gli umili di cuore che erediteranno la terra di domani (Salmi 37:9-11, Matteo 5:5, Giacomo 1:9). Perché in questa eredità non entreremo con la nostra natura di oggi. Ora io dico questo, fratelli, che carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio; né i corpi che si decompongono possono ereditare l’incorruttibilità. 1Corinzi, 15:50

La nostra destinazione finale non è nella vita presente, che è destinata a passare. Infatti "noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia" (2Pietro, 3:13). Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate». E colui che siede sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Poi mi disse: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere», e aggiunse: «Ogni cosa è compiuta. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita. Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio. Apocalisse, 21:1-7

Conviene quindi che la nostra mente, piuttosto che lasciarsi turbare pensando alle cose che si vedono quaggiù sulla terra (Colossesi, 3:1-2), si faccia rinfrescare dalla rivelazione delle cose che sono in cielo. Perché lì sta la nostra vera eredità. … il Dio del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione perché possiate conoscerlo pienamente; egli illumini gli occhi del vostro cuore, affinché sappiate a quale speranza vi ha chiamati, qual è la ricchezza della gloria della sua eredità che vi riserva tra i santi, e qual è verso di noi, che crediamo, l’immensità della sua potenza. Efesini, 1:17 -19

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