qui in pdf - “Quando furono giunti al luogo detto «il teschio», vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».

Poi divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Il popolo stava a guardare.
E anche i magistrati si beffavano di lui, dicendo: «Ha salvato altri, salvi sé stesso, se è il Cristo, l’Eletto di Dio!» Pure i soldati lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell’aceto e dicendo: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!».

Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI. Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» Ma l'altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma Egli non ha fatto nulla di male».

E diceva: Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!

Se Gesù fosse stato di una qualsiasi religione di questo mondo avrebbe detto: “Vuoi andare in paradiso!?... Veramente nella tua vita ti sei comportato malissimo. Comunque, se persevererai nel fare il bravo fino alla fine (come dicono tutte le religioni), se non mangerai carne il venerdì ecc... ecc..., e se dopo morto ti accenderanno le candele, così pure dopo un mese e dopo un anno e via di seguito per ogni anno, FORSE potrai andare in paradiso”.

Di un’altra avrebbe detto:
“Bene! Se vuoi andare in paradiso, non devi fare il militare devi metterti la cravatta, andare in giro con la tua 24 ore, non fare trasfusioni di sangue... e FORSE poi vi andrai”.

Di un’altra ancora avrebbe detto: “Non devi mangiare carne di maiale, devi pregare 5 volte al giorno, devi osservare il Ramadan (digiunare un mese l’anno), devi fare un pellegrinaggio alla Mecca... FORSE poi andrai in paradiso”.

Le religioni sono tutte così: “Questo non si fa, questo non si dice…”. E se Gesù fosse stato di una qualsiasi altra religione la musica del “FORSE” non sarebbe cambiata. Ma GESÙ non è come le religioni di questo mondo e dà una risposta istantanea e piena di CERTEZZA: IO TI DICO IN VERITA' CHE OGGI TU SAI CON ME IN PARADISO.

Gesù non si trovò per caso vicino a quel ladro. Egli venne a morire proprio per tutti i “ladri” del mondo per amore, e poiché siamo tutti peccatori, Egli è morto anche per noi.

Quel ladro dopo una preghiera di 4 secondi trovò la vera vita, quella eterna. Gesù non gli chiese lunghe preghiere, lunghi pellegrinaggi scalzo o buone opere per ripagarsi delle cattive, ma il cuore, un cuore desideroso di Dio. Gesù voleva dire anche all’altro “oggi sarai con me in paradiso”, ma non glielo disse per la sua incredulità. Lo dirà a te?
Molti pensano che per il ladro era diverso poiché era all’ultimo momento della sua vita...

Ma anche noi siamo all’ultimo momento della nostra vita! Nessuno può avere un certificato dal sindaco che domani sarà ancora vivo! Quindi una preghiera che viene dal cuore verso Gesù è urgente anche per te. La salvezza in Gesù si deve acquisire ora, non si sa se ne avremo la possibilità all’ultimo momento.

Gesù quando nacque divise la storia, alla Sua morte divise l’umanità. Un ladro è morto da perduto ed è andato all’inferno. L’altro è morto da salvato, e da circa 2000 anni è in paradiso.

Quando sarà il tuo momento, morirai da salvato o da perduto? Se avessimo la possibilità di domandare a quel ladro: “dove vai oggi?” non ci direbbe BOH!? ma: “oggi vado in paradiso perché Gesù me l’ha promesso ed io ho creduto”. Se facciamo la stessa domanda ad un qualsiasi vero cristiano avremo la stessa risposta: “Io andrò in paradiso perché Gesù me l'ha promesso ed io ho creduto”.

Tu puoi dare la stessa risposta? Gesù si ricordò di quel ladro portandolo in paradiso... Si ricorderà di te?

PASQUA vuol dire “Passaggio”, il ladrone passò dalla morte alla vita, quella eterna; dalla perdizione alla salvezza; dalle tenebre alla meravigliosa luce di Gesù; dal dolore alla gioia; dalla terra al cielo...

La tua Pasqua sarà come la sua? Te lo auguriamo.

Vedi anche: Il mio ultimo giorno

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alex

Giovanni 11
In Giovanni 11:17-26a leggiamo: “Gesù dunque, arrivato, trovò che Lazzaro era già da quattro giorni nel sepolcro. Or Betania distava da Gerusalemme circa quindici stadi, e molti Giudei erano andati da Marta e Maria per consolarle del loro fratello. Come Marta ebbe udito che Gesù veniva, gli andò incontro; ma Maria stava seduta in casa. Marta dunque disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; e anche adesso so che tutto quello che chiederai a Dio, Dio te lo darà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Marta gli disse: «Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell'ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; (26a) e chiunque vive e crede in me, non morirà mai»” (alla fine di questo post finiremo 11:26b-27).

La scaletta
In questo post vogliamo considerare la risurrezione di Cristo sotto i seguenti cinque punti: (1) la predizione della risurrezione; (2) l’adempimento di quella predizione; (3) il risultato della risurrezione; (4) il significato della risurrezione; e infine (5) il ‘dunque’ della risurrezione per noi.

(1) Gesù predice la propria risurrezione
In Luca 9:22, riguardo a se stesso, Gesù dice ai suoi discepoli: “Bisogna che il Figlio dell'uomo soffra molte cose e sia respinto dagli anziani, dai capi-dei sacerdoti, dagli scribi, sia ucciso, e risusciti il terzo giorno”. Qui Gesù predice tre cose: (a) il suo essere ripudiato da parte dei capi religiosi; (b) la propria morte; e (c) la propria risurrezione il terzo giorno. Questi dati sono molto familiari a noi—infatti così familiari che la loro portata potrebbe sfuggirci. Quello che ci interessa in questa sede è il terzo elemento. Predire la propria morte non sarebbe impossibile; la propria risurrezione sì!

(2) Le Scritture registrano l’adempimento di tale predizione
Più passi della Bibbia confermano che Gesù ha ‘azzeccato’ predicendo il proprio tornare in vita, di cui Luca 24:1-8 è un esempio: “1 Ma il primo giorno della settimana, la mattina prestissimo, esse si recarono al sepolcro, portando gli aromi che avevano preparati. 2 E trovarono che la pietra era stata rotolata dal sepolcro. 3 Ma quando entrarono non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4 Mentre se ne stavano perplesse di questo fatto, ecco che apparvero davanti a loro due uomini in vesti risplendenti; 5 tutte impaurite, chinarono il viso a terra; ma quelli dissero loro: «Perché cercate il vivente tra i morti? 6 Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordate come egli vi parlò quand'era ancora in Galilea, 7 dicendo che il Figlio dell'uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare». 8 Esse si ricordarono delle sue parole.”

Al v. 5 gli angeli fanno una domanda alle pie donne che cercavano la salma (morta!) di Gesù: “Perché cercate il vivente tra i morti?” Vale a dire: ‘Care donne, siamo al terzo giorno. Il conto alla rovescia è finito. Qui, Gesù, non c’è. Qui, Gesù, non ci può essere. Perché (v. 6a) egli è risuscitato.’ Nota bene come prosegue il discorso degli angeli (vv. 6b-7). Essi ricordano a queste donne pie la profezia di Gesù. Queste pie donne sono testimoni dell’adempimento di tale profezia!

(3) Qual è il risultato della risurrezione?
Ci sono tanti risultati della risurrezione di Cristo, ma si può dire in sintesi che questo è il risultato: Cristo ha vinto la morte. In II Timoteo 1:10 troviamo scritte le seguenti parole meravigliose: Cristo “ha distrutto la morte”. La morte distrugge tutto. Alla ‘morte’, nessuno può dire, ‘No grazie.’

Gesù, invece, morendo e risuscitando ha sconfitto e ha distrutto la morte (cfr. Atti 2:23-24). Ancora 2 Timoteo 1:10: il Salvatore nostro Gesù Cristo “ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l'immortalità mediante il vangelo”!

(4) Qual è il significato della risurrezione?
Qui facciamo presenti brevemente solo tre delle varie ‘implicazioni’ della risurrezione. (a) Non dobbiamo più temere la morte (Ebrei 2:14-15). (b) Se crediamo in Cristo e in Cristo solo, passiamo in quel momento dalla morte alla vita (Giovanni 5:24). E (c) noi—che siamo credenti—possiamo ora vivere una nuova vita, per via della potenza della risurrezione (Romani 6:4; Efesini 1:19-21). Qui commentiamo la terza implicazione.

Per mezzo della risurrezione di Cristo possiamo vivere una nuova vita
La risurrezione di Cristo significa che possiamo vivere, già da ora, una vita nuova. Purtroppo spesso, anche noi che siamo credenti (compreso chi scrive), viviamo come se non lo fossimo. Viviamo in modo egoista. Ci facciamo dominare da desideri indegni del regno di Dio. Speriamo di fare più soldi, di acquistare più beni di guadagnare più prestigio (sia chiaro che guadagnare il ‘giusto’ non è una cosa peccaminosa; ma non è di questo che stiamo parlando qui). Ci inganniamo, credendo che queste cose siano degne delle nostre energie.

Ma Dio vuole che noi credenti viviamo una nuova vita. Vuole che le sue priorità diventino le nostre priorità. Vuole che i suoi desideri diventino i nostri desideri. Vuole che noi abbracciamo, con gioia, la sua volontà per la nostra vita. Bene, forse desideriamo avere queste cose. Ovvero, mettiamo che, come credenti, vorremmo seguire più da vicino il nostro Salvatore. Pur avendo tale buono desiderio, a volte, non crediamo di farcela. È proprio qui che dobbiamo capire la terza implicazione (o conseguenza) della risurrezione.

La stessa potenza di Dio che ha risuscitato Cristo dai morte è a nostra disposizione per seguire Cristo. Nella Lettera agli Efesini 1:19 Paolo prega che i credenti (perciò anche tu che leggi) sappiano “19 ... qual è verso di noi che crediamo, l’immensità della … potenza” di Dio. Poi nei versetti successivi Paolo prosegue a fare presente che la potenza di Dio in questione riguarda proprio quella con cui il Padre ha risuscitato il Figlio. Inoltre Romani 6:4 recita che per noi la risurrezione di Cristo significa una nuova vita, vissuta nella potenza della risurrezione di Cristo: “Siamo dunque stati sepolti con…[Cristo] mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita.”

A volte noi credenti ci troviamo in dei pasticci morali o comunque di tipo vario. E non crediamo di avere la forza per liberarci dai lacci con cui noi stessi ci siamo legati. E abbiamo ragione. In noi stessi non abbiamo la forza per liberarci. Però, la forza, la potenza c’è, ed è a nostra disposizione. Quale potenza? La potenza della risurrezione. Basta che attacchiamo la spina alla presa della risurrezione. La potenza di Dio ci porterà fuori dalle gabbiette in cui eravamo andati a finire.

(5) Il ‘dunque’ della risurrezione
Magari nel periodo in cui leggiamo questo post, si potrebbe dire (se non mi fraintendete) che la primavera sta cercando di dirigerci ad andare al Cristo Risorto…per avere la vita. Vediamo gli alberi e i fiori con le loro stupende vesti primaverili. La Primavera stessa ci sta annunciando la vita. Ma la decisione di scegliere o meno la vita della risurrezione è nostra. Questo è il dunque della Pasqua: ci rivolgeremo o no al Cristo Risorto? Crederemo o no nel Cristo Risorto.

È qui dove vogliamo tirare le fila della nostra lettura iniziale (Giovanni 11:17-26a). Il testo riprende con una domanda di Gesù. Citiamo di nuovo anche l’inizio del versetto 26 (=26a) e poi andiamo avanti con 26b (=la seconda parte del v. 26) e 27. Gesù sta parlando con Marta, ma si sta rivolgendo anche a me e a te:
“26a «Chiunque vive e crede in me, non morirà mai. [Ora proseguiamo:] b Credi tu questo?» 27 Ella gli disse: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo».”

Risponderemo come Marta? La decisione sta ad ognuno di noi. La scelta è nostra. E tu, credi tu questo? La domanda non è indifferente: si tratta del vero ‘dunque’ della gloriosa risurrezione di Gesù Cristo dai morti!

(una forma più ampia di questa meditazione si trova in http://www.chiesaevangelicalogos.com/sermonitopicowiev.php?topico=Pasqua 24 aprile 2011)
Pietro Ciavarella

alex

La Pasqua (in ebraico Pesah significa "passaggio") è una festa primaverile che ricorre il 15 di Nisan dopo un digiuno di sette giorni in Israele e otto nella diaspora.

La festa ricorda l'esodo dall'Egitto (Es 34:25). Era chiamata in due modi: hag ha-Pesah (festa di Pasqua) perché Dio passò e protesse le case dei figli d'Israele (Es 12:23), e hag ha-Mazzot (festa degli Azzimi cfr. Es 23:15; Lv 23:6; Dt 16:16).

La sera del 14 di Nisan veniva immolato l'agnello pasquale, arrostito per intero (Es 12:1-28, 43-49; Dt 16:1-8) e consumato in famiglia. Il seder (ordine) della Pasqua è basato sulla responsabilità dei genitori nel trasmettere ai propri figli le ragioni della festa: "In quel giorno tu spiegherai questo a tuo figlio, dicendo: ‘Si fa così a motivo di quello che il Signore fece per me q uando uscii dall'Egitto'" (Esodo 13:8).

Nel suo significato sociale, indica un cambiamento da una condizione a un'altra. Dalla schiavitù implicante una dipendenza totalitaria (quella egiziana), alla liberazione che ha in sé, comunque, una dipendenza, ma caratterizzata dalla libera scelta da chi dipendere o con chi relazionarsi.
Nel suo significato psicologico, indica un cambiamento di mentalità, del modo di pensare in rapporto a Dio, a se stessi, al prossimo e alla vita in generale. Pasqua è dunque "passare oltre" o "andare oltre" la visione che si ha di se stessi, del prossimo e della vita. Liberasi dei tabù, degli handicap psicologici e librasi verso una nuova vita. Pasqua è un risorgere a nuova vita.

Nel suo significato spirituale, indica un cambiamento religioso, un passaggio implicante un atto di adorazione rivolto a Dio. Pasqua è "passare oltre" nel senso di trascendere se stesso e dare un senso alla vita a partire da Dio il risorto. Comporta un movimento, un percorso verso la terra promessa e il raggiungimento di essa: la Canaan celeste, ovvero: "nuovi cieli e nuova terra" (Apocalisse 21:1-8).

Secondo l'apostolo Paolo, "la nostra pasqua è Cristo". "Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!

Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità" (1 Corinzi 5:7-8).

Buona Pasqua!

Francesco Zenzale

alex

La Celebrazione della Pasqua

Il Natale e la Pasqua, indubbiamente le feste più sentite nel nostro paese, ricordano che Gesù è nato (il Natale) e che poi è morto ed è risorto (la Pasqua). Siamo nati in un mondo pieno di tradizioni, usanze e consuetudini e siamo cresciuti accettandole senza chiederci da dove vengano. L'assenza della celebrazione della festa liturgica della Pasqua è una peculiarità delle nostre chiese evangeliche per alcune ragioni bibliche, storiche e culturali che ci accingiamo ad analizzare.

Ragioni bibliche
Ebreo
"La Pasqua era la festa massima dei Giudei, la quale era intesa a tipizzare il sacrificio di Cristo, Agnello di Dio, ucciso per i peccati del mondo. Fu ordinata da Dio in origine, a commemorare il passaggio dell'angelo che uccise i primogeniti d'Egitto passando oltre alle famiglie d'Israele che rimasero immuni, ed altresì la partenza del popolo dalla terra di servitù" (Dizionario Biblico Schaff, Ta Biblia 2, edizione Adi-Media).
Nel Nuovo Testamento l'apostolo Paolo, ispirato dallo Spirito Santo, scrive: "La nostra Pasqua, cioè Cristo, stata immolata" (I° Cor. 5:7), collegando così l'agnello pasquale, offerto per la redenzione d'Israele, a Gesù "l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo".

Ragioni storiche
Alla luce della storia del Cristianesimo appare evidente che con l'affievolirsi dello spirito missionario ed evangelistico, alcune tendenze paganeggianti concorsero alla formazione di rituali, i quali sviluppandosi nel tempo, si codificarono poi in sistema liturgico. Infatti, soltanto nel concilio di Nicea (325 d. C.), ci riuscì a concordare che la Pasqua fosse celebrata la domenica successiva al primo plenilunio che avviene dopo l'equinozio di primavera, per questo la data oscilla tra il 22 marzo e il 25 aprile.

Ragioni culturali
Molti riti pasquali sono estranei al ricordo della vera Pasqua. Ad esempio, alcune delle tradizioni popolari della Quaresima e della Pasqua risalgono ad antichi riti propiziatori primaverili atti a spaventare i demoni dell'inverno per farli fuggire. Col tempo, la gioia per il sorgere del sole e per il risveglio della natura primaverile, è stata accostata alla gioia relativa alla resurrezione di Cristo, "sole di giustizia". La primavera era sacra per gli adoratori che abitavano in Fenicia. La loro dea della fertilità Astarte o Ishtart (Afrodite per i Greci), aveva come simboli l'uovo e la lepre.
Da qui l'usanza di considerare le uova immagine di fertilità e di vita. I Persiani ad esempio, regalavano le uova durante l'equinozio di primavera; gli Egiziani, i Greci e i Romani le coloravano e le mangiavano nelle festività del periodo primaverile. Persino studiosi esponenti della religione ufficiale lo confermano: "Un gran numero d'usanze pagane per celebrare il ritorno della primavera gravitano sulla Pasqua. L'uovo è il simbolo della vita che germina all'inizio della primavera… Il coniglio è un simbolo pagano ed è sempre stato simbolo di fertilità" (The Catholic Enciclopedia, 1913, vol. V, pag. 227).
uova_pasqua

La Pasqua ebraica e la Cena del Signore
"Il termine italiano «Pasqua» è la traslitterazione dell'antica parola ebraica «pèsach» che significa letteralmente «saltare oltre» in ricordo della notte in cui Yahweh «saltò oltre», ovvero, oltrepassò le casa degli Israeliti in Egitto contrassegnate dal sangue dell'agnello sacrificato, risparmiando i figli maschi”. (Alfredo Cattabbiani -Calendario Edizioni Rusconi Libri, pag. 172 anno 1994).
Secondo Levitico 23:5 la Pasqua ebraica corrispondeva al giorno in cui aveva inizio l'anno liturgico: «Il primo mese, il quattordicesimo giorno, sull'imbrunire, sarà la Pasqua del Signore». L'anno solare seguiva invece il suo corso ordinario. Con l'istituzione dell'anno liturgico, il Signore insegnò al Suo popolo che doveva cominciare un'era nuova con Lui. Si doveva uccidere l'agnello, spruzzare col sangue gli stipiti delle porte e
Stipiti contrassegnati di sangue
consumare il pasto con un atteggiamento da pellegrini. Si rammemorava così la prodigiosa liberazione della notte dell'esodo egiziano.
"La Pasqua doveva celebrarsi la sera del quattordicesimo giorno del primo mese (Nisan) ed il quindicesimo giorno cominciava la festa dei sette giorni dei pani azzimi. Il termine Pasqua non può applicarsi propriamente che al pasto in cui si mangiava l'agnello; seguiva poi la settimana dei pani azzimi, che terminava la sera del ventunesimo giorno. Quest'ordine è riconosciuto in Giosuè 5:10,11. Ma nella storia sacra la parola Pasqua si applica talvolta all'intero periodo (Luca 2:41; Giov. 2:13, 23; Giov. 6:4: Giov. 11:55).
Riguardo all'ora della celebrazione della Pasqua, essa espressamente fissata «fra i due vespri» (Es. 12:6; Lev. 23:5; Num. 9:3, 5), o, come detto altrove, «la sera al tramontar del sole» (Deut. 16:6). Questa ora corrisponderebbe al principio del quindicesimo giorno di Nisan, cioè al momento in cui il 14 termina e il 15 principia". (Dizionario Biblico Schaff: Ta Biblia 2, Edizione Adi-Media).
In epoca tardiva, l'atteggiamento di pellegrino non fu più conservato. Gli agnelli erano uccisi di pomeriggio nel cortile del tempio, il sangue raccolto dai sacerdoti in vasi era versato vicino all'altare e il grasso bruciato sull'altare stesso.
Assieme all'agnello veniva consumato anche del pane azzimo e delle erbe amare (Deut. 16:1-8). Nel suo significato tipologico l'agnello pasquale offerto dagli Ebrei fu applicato a Gesù anche dall'apostolo Paolo: «La nostra pasqua, cioè Cristo, è stata immolata». Niente lascia intendere che bisogna celebrare la Pasqua o che lo facesse anche la chiesa dell'era apostolica. In realtà il giorno della resurrezione fu «nella notte del sabato, quando già albeggiava, il primo giorno della settimana» (Matt. 28:1). La Cena perciò era celebrata in tale giorno. A Troas i credenti, nel primo giorno della settimana erano radunati per rompere il pane (Atti 20:9), non per celebrare la Pasqua. Gesù aveva, infatti, detto ai Suoi di ricordare in questo modo la Sua morte e la Sua resurrezione. Si discute se il pasto nel quale Gesù istituì la Cena nel Signore fu proprio quello pasquale. Gli evangelisti Matteo e Marco lo affermano nei seguenti versi: Matt. 26:18ss., Marco 14:12ss.
Certamente l'ultima Cena fu piena di risonanza e significati della Pasqua ebraica. Ma le analogie tra la Pasqua ebraica e la celebrazione della Cena come fu istituita dal Signore non vanno ricercate nel rituale, piuttosto nei loro tre elementi comuni.

Il concetto di liberazione
Quando Dio stabilì la celebrazione della Pasqua disse: «Quando io vedrò il sangue passerò, e non vi sarà piaga su voi per distruggervi, quando percoterò il paese d'Egitto». (Es. 12:13). Nella Cena: "Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo ruppe e lo diede ai suoi discepoli dicendo: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati»”. (Matt. 26:26-28).
Dio ha stabilito e scelto di preservare la speciale relazione tra Sé e il Suo popolo con il Patto, con la Sua parola di promessa e con il sangue sparso. Il Nuovo Patto adempie l'antico, perché il Nuovo Testamento completa la Parola di Dio agli uomini. La liberazione ad opera di Cristo è completa. Le istituzioni dell'Antico Patto non avevano la forza di liberare veramente gli uomini dal peccato e quindi di consentire loro l'accesso alla presenza di Dio.

Il valore del sacrificio
Nella Pasqua ebraica: «Il vostro agnello sia senza difetto, maschio,dell'anno; … Lo serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la comunità d'Israele, riunita, lo sacrificherà al tramonto». (Es. 12:5,6).
Nella Cena del Signore: "Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo ruppe e lo diede ai Suoi discepoli dicendo: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo». Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il
agnello
perdono dei peccati»" (Matt. 26:26-28). L'epistola agli Ebrei spiega che Cristo fu allo stesso tempo sacrificio e sacrificatore, offerta ed offerente. Gli antichi sacrifici, però, dovevano essere ripetuti perché erano solo l'ombra (Ebrei 10:1-4) di quello perfetto e completo di Cristo (Ebrei 9:11-14), l'unico con valore espiatorio (Ebrei 9:12-14), perciò irripetibile.

Il carattere di memoriale
Nella Pasqua ebraica: "Quel giorno sarà per voi un giorno di commemorazione". Nella Cena del Signore: "… fate questo in memoria di me". Al tempo di Gesù, il pasto pasquale aveva una liturgia diversa (Luca 22:17-20). "La festa cominciava con una benedizione e la preghiera, con il mandare attorno alla mensa un calice di vino mescolato con acqua, e un piatto d'erba e salsa dopo che il padre della famiglia l'aveva benedetto. A ciò faceva seguito la recitazione della storia dell'istituzione divina della Pasqua, il canto del Salmo 113 e la benedizione del secondo calice. L'agnello, arrostito intero, e le altre pietanze erano imbanditi e mangiati, dopo che il calice
Piatto del Seder
era stato mandato attorno una seconda volta. Ognuno riceveva la sua parte dell'agnello, dell'erbe amare e dei pani azzimi, e si aveva gran cura che nessun osso fosse rotto. Quel che restava della carne era subito bruciato. Dopo il pasto veniva un terzo calice. Infine, erano cantati i Salmi dal 114 al 118 e si passava il quarto calice e forse un quinto calice" (Dizionario Biblico Schaff: Ta Biblia 2, Edizione Adi-Media).
Gesù usò probabilmente il primo o il secondo dei quattro calici di vino, quando affermò che era l'ultima volta che ne bevevo, prima della venuta del Suo regno. Seguì il ringraziamento per il pane e la spiegazione del suo nuovo significato. Ordinò quindi di ripetere quella celebrazione in Sua memoria. Prese il terzo calice e spiegò che rappresentava il Suo sangue con cui stava stabilendo il Nuovo Patto.


Conclusione
La celebrazione della Pasqua quindi a poco a che fare con il ricordo della morte e resurrezione di Gesù. Spesso la cristianità in generale unisce usi pagani con insegnamenti cristiani. Non è valido qui il principio di usare il sacro per santificare quello che non lo è (Agg. 2:12). La Pasqua non è una festività cristiana, né una ricorrenza o una liturgia, anzi, alla luce del Nuovo Testamento la Pasqua è la Persona stessa di Cristo Gesù (I° Cor. 5:7, 8). Ogni giorno è continuamente Pasqua, se abbiamo realizzato Gesù nei nostri cuori e seguiamo i Suoi insegnamenti. Mimmo Modugno

da: Cristiani Oggi 4/2002

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