Una relazione inalterabile con Dio, ma un godimento fragile di questa relazione

Dio non vuole che le sue creature siano lasciate nell'incertezza per quanto riguarda il loro buon stato spirituale. Ha definito in termini chiari e semplici la condizione morale nella quale ogni uomo si trova per natura: figlio d'ira, morto nelle proprie colpe e nei propri peccati.

Il suo linguaggio è altrettanto chiaro e semplice quando, nella sua grazia, ci mette davanti la via della salvezza: "Questa è la parola della fede che noi annunziamo; perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato" (Romani 10:8-9). Una salvezza immediata e completa: "Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita" (Giovanni 5:24). Il credente è tolto definitivamente dalla sfera in cui la morte regna e dove il giudizio di Dio si abbatterà.

Ma la conoscenza della salvezza non è tutto. Dio vuole avere un popolo che abbia comunione con Lui. Perché un uomo, un figlio di Adamo, che per natura è un essere perduto, possa avere comunione con Dio, sono necessarie due cose:

  1. che il fondamento, l'unico sul quale questa comunione si può basare, sia già stato preparato
  2. che sia comunicata la capacità di goderne.

Ora, grazie al sacrificio di Cristo il fondamento è stato preparato, e la nuova nascita ci dà questa capacità. Il fondamento, una volta preparato, è immutabile; e nessuno potrà privarci della nuova natura che ci è stata conferita. Però c'è un fatto: nessun riscattato potrebbe continuare a godere della comunione con Dio se sono intervenuti dei motivi per i quali è stata interrotta.

Stabiliti in grazia come figli, la nostra relazione rimane inalterabile; ma il godimento di questa relazione è un'altra cosa. Un insegnamento difettoso riguardo all'opera di Cristo e alla relazione con Dio, nella quale quell'opera perfetta mette tutti coloro che credono in Lui, può essere un serio ostacolo a questo godimento. Inoltre, un peccato non confessato può interrompere la nostra comunione con Lui.

Non possiamo dimenticare che Colui al quale siamo uniti è un Dio che è santo e che è luce. Se Dio avesse comunione col male e mantenesse in comunione con sé chi lo pratica, agirebbe contro la propria natura. "Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre" (1 Giovanni 1:5). Eppure l'apostolo scriveva: "La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo" (1 Giovanni 1:3). Per il Signore, la comunione col Padre non era una possibilità, ma una realtà; Egli viveva in questa comunione, e desiderava che tutti i credenti la realizzassero. "Quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi... Queste cose vi scriviamo perché la vostra gioia sia completa" (1 Giovanni 1:3,4).

Ma l'apostolo Giovanni mette in evidenza anche le condizioni che, secondo il desiderio di Dio, devono essere soddisfatte dai credenti. Il v. 5 descrive in grandi linee la natura di Dio, ciò che Egli è; e la condotta del riscattato dev'essere in accordo con la Sua natura. A questo riguardo non possiamo avere alcuna pretesa; Dio vede e giudica tutto: "Se diciamo che abbiamo comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, com'egli è nella luce, abbiamo comunione l'un con l'altro, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato".

Ora sorge un altro interrogativo: se abbiamo peccato, che cosa dobbiamo fare? Come possiamo essere riabilitati nella sua comunione? La sua Parola ci dice che è la grazia che interviene! Notiamo che Dio non può tollerare il peccato, tuttavia ha previsto che i suoi potrebbero commetterlo: "Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato..." (1 Giovanni 2:1). Questo lo dice a tutti quelli che hanno ottenuto il perdono dei loro peccati. Essi possiedono una natura che non può peccare, perché sono nati da Dio; lo stesso Spirito Santo che era nel Signore, uomo sulla terra, abita anche in loro, di modo che non dovrebbe esserci scusa per il peccato. Eppure, purtroppo, noi pecchiamo ancora! Allora, con un linguaggio semplice e chiaro, come quello che definisce la condizione in cui siamo per natura e la via della salvezza per grazia, la Parola ci presenta la risorsa che Dio ci offre per un peccato eventualmente commesso e le direttive da seguire. La risorsa c'è, ed è la funzione di avvocato esercitata dal suo Figlio, Gesù Cristo il giusto, propiziazione per i nostri peccati. L'unica cosa che noi credenti dobbiamo fare è confessare i nostri peccati (1Giovanni 2:1,2; 1:9). E' il sangue di Cristo che procura il perdono completo dei peccati. Ed è mediante la funzione di avvocato esercitata dal "Giusto" che il credente che ha peccato può essere restaurato nei privilegi della comunione con Dio, se confessa e riconosce la propria colpa, affinché la santità di Dio sia mantenuta.

Come sono semplici le vie di Dio, eppure come sono travisate le sue direttive riguardo alla confessione! Che confusione regna ancora nella cristianità su questo argomento! Gli uomini, con la loro incomprensione e il cattivo uso che fanno delle semplici direttive di Dio, hanno offuscato la verità fino al punto che la via della salvezza mediante la fede in Cristo è dimenticata, così come il valore assoluto ed eterno della sua opera di grazia.

Una cosa è chiara: la confessione è un'istituzione di Dio. I figli d'Israele (Levitico 5:5 e Numeri 5:7) erano tenuti a praticarla. Gli uomini pii d'Israele furono battezzati da Giovanni mentre confessavano i loro peccati.

Anche adesso chi crede al Signore Gesù deve confessare i suoi peccati. Ma è bene chiarire alcuni punti importanti.

  1. Che scopo ha la confessione?
  2. Cosa dobbiamo confessare?
  3. A chi dobbiamo confessarci?

La risposta, fornita dalla Parola di Dio, regolerà la questione e aiuterà le anime, in questi tempi in cui gli errori di dottrina abbondano e gli insegnamenti sono sovente confusi.

Che scopo ha la confessione?

La confessione che un credente deve fare non è certo in vista di riottenere la salvezza che già possiede. Possiamo notare che Giovanni si mette nel numero di quelli che possono averne bisogno: "Se noi confessiamo", scriveva. Egli sapeva di possedere la vita eterna, e diceva questo per rendere sicuri altri che la possedevano (1 Giov. 5:13), i cui peccati erano perdonati mediante il Suo nome (1 Giov. 2:12). Qui egli parla non per un peccatore non ancora convertito, ma per un credente che sia caduto in qualche peccato; è per il ripristino della comunione con Dio, non per la salvezza. Il re Davide conobbe qualcosa di questa differenza quando, nel Salmo 32, dopo aver descritto il risultato della sua confessione al Signore, aggiunge: "Perciò ogni uomo pio t'invochi mentre puoi essere trovato" (v. 6). La sua esperienza è incoraggiante.

Cosa dobbiamo confessare?

I nostri peccati. Davanti a Dio noi credenti siamo delle nuove creature, ma non potremo mai essere sbarazzati della nostra vecchia natura prima della morte o prima di essere trasformati quando il Signore ritornerà. "Il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato" (Romani 6:6). Dobbiamo confessare quando abbiamo ceduto a questa vecchia natura e disonorato il Signore.

"Se confessiamo i nostri peccati". Una cosa è parlare di noi stessi come di creature peccatrici, che è la condizione di tutti gli esseri umani; altra cosa è confessare i propri atti di peccato, dopo che già abbiamo riconosciuto l'efficacia del sangue di Cristo. Quando ho ricevuto una nuova natura, sono diventato un tempio dello Spirito Santo. Se confesso di essere un peccatore, non parlo di ciò che sono davanti a Dio (in quanto perdonato e lavato dal sangue di Cristo) ma dei peccati che, purtroppo, commetto ancora. Se confesso i miei peccati, alludo a ciò che avrei dovuto evitare, da cui avrei dovuto astenermi. Ho ceduto a ciò a cui non avevo il diritto di cedere; mi son permesso di fare ciò che non dovevo fare.

A chi dobbiamo confessare?

Benché questo non sia espressamente indicato, è chiaro che dobbiamo farlo al Padre, perché è Lui che abbiamo offeso. La nostra comunione con Lui è interrotta, ed è a Lui che dobbiamo fare la nostra confessione, affinché, in piena giustizia, Egli possa ristabilire la nostra comunione; ma questo può avvenire solo quando abbiamo giudicato la nostra azione come Lui la giudica.

Poiché siamo già stati salvati, non abbiamo più bisogno di espiazione, né d'essere nuovamente "lavati" nel sangue di Cristo; la nostra posizione in Lui è perfetta. In quanto credenti, nati di nuovo, siamo suoi figli e continuiamo ad esserlo; questa relazione è inalterata e inalterabile. Non abbiamo bisogno di un ministerio "terreno" fra noi e Dio; questo implicherebbe che la nostra posizione sia imperfetta e che un intermediario avrebbe una posizione più vicina a Dio, che noi non possiamo avere!

Un'intermediazione umana era necessaria per Israele. Il popolo non poteva seguire il sacerdote dove andava, né prendere parte al servizio dell'altare, né entrare nel santuario; invece, la nostra relazione con Dio è stretta quanto più si possa immaginare. Figli del Padre: questa è la posizione sicura di chiunque crede al Signore Gesù.

Se dimentichiamo questo e ci affidiamo a un intermediario, per il Signore è un disonore e per l'anima una grave perdita. La confessione a un ministro ufficiale, a un prete o a qualcun altro, è realmente una rinuncia al diritto di accesso, per il credente che purtroppo ha peccato, alla presenza del Padre; significa negare la sufficienza dell'intervento del nostro grande Avvocato, e affermare praticamente che l'uomo può sostituirsi ad un anello che mancherebbe fra l'anima a Dio. E' un ritorno alla posizione d'Israele prima della morte del Signore, è il terreno giudaico e non cristiano. Purtroppo nella cristianità la confessione è praticata in modo non conforme agli insegnamenti della Parola.

Bisogna anche dire che se abbiamo peccato contro al nostro prossimo, dobbiamo prima confessare a lui la nostra mancanza nei suoi confronti, e poi chiedere a Dio di essere restaurati nella Sua comunione. Questo principio è espresso in Matteo 5:23-24 e Luca 17:4. E anche se non abbiamo peccato contro al nostro prossimo, possiamo però confessare a un fratello in fede le nostre colpe, secondo Giacomo 5:16, perché preghi per noi che abbiamo peccato, affinché siamo restaurati. E' desto: "l'uno all'altro". Con che cura la Parola di Dio ci mette in guardia contro l'introduzione di un ministro ufficialmente incaricato di ricevere la confessione degli altri!

Una volta fatta la confessione, segue il perdono. "Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati" (1 Giov. 1:9). Abbiamo forse bisogno che qualcuno ce lo confermi, visto che Dio ce l'ha promesso con tanta grazia nella sua Parola? La parola d'un uomo renderebbe la Parola di Dio più sicura? Darebbe maggior fiducia ai figli di Dio? Dio è fedele e non può rinnegare se stesso. E' giusto e non può agire ingiustamente. Per quello che Egli è, abbiamo una fiducia tale che non può essere aumentata da nessuna parola umana. Possiamo contare sicuramente sulla sua Parola: se confessiamo i nostri peccati, Egli ci perdona.

Ma Dio non si limita a questo. Non soltanto perdona, ma, siccome Lui è santo, purifica i suoi da ogni iniquità, affinché la gioia della comunione sia ristabilita e noi siamo di nuovo davanti a Lui dei figli liberi e gioiosi.

Il Messaggero Cristiano, n°6, giugno 2001

Argomenti

Ripigliatevi

 Il fatto che occorra un discorso lungo e fumoso per spiegare una cosa semplice , la dice lunga sulla pretesa luterana di "coprire" l'errore con elucubrazioni personali. Si tratta come hanno sempre riconosciuto i padri della chiesa del balsamo che guarisce le nostre mancanze. Nessun altra "pratica" da la certezza del perdono. Se vado da un medico e nascondo delle ferite questi non può disinfettarle. Certo dà un po' di fastidio , ma produce effetti tangibili. La pretesa di renderla non biblica poi è quanto di più forzato ("a chi rimetterete i peccati saranno rimessi , a chi non li rimetterete resteranno non rimessi"). 

"Se dimentichiamo questo e ci affidiamo a un intermediario, per il Signore è un disonore e per l'anima una grave perdita. La confessione a un ministro ufficiale, a un prete o a qualcun altro, è realmente una rinuncia al diritto di accesso, per il credente che purtroppo ha peccato, alla presenza del Padre; significa negare la sufficienza dell'intervento del nostro grande Avvocato, e affermare praticamente che l'uomo può sostituirsi ad un anello che mancherebbe fra l'anima a Dio".

La visione luterana getta nel pessimismo più nero poichè riduce il tutto ad una valutazione personale che può essere blanda o eccessiva (non ci si reputa degni di perdono ecc.) . Il riferimento a Israele poi è fuori luogo essendo parole di Cristo che istituisce la confessione nel Giovedi Santo

 

alex

Nel mondo cattolico esistono molte forme e rituali che non sono di origine biblica. Forme e rituali che non erano praticate nelle chiesa primordiale. 

Tra le molte cose aggiunte nel corso della storia c'è:

La “Confessione auricolare”
o confessione dei peccati fatta all’orecchio del prete, fu istituita da Papa Innocenzo III nel 1.215, nel Concilio Laterano. Questo perchè prima di all'ora anche nella Chiesa Cattolica tale versetto aveva un significato ben preciso diverso dalla modifica apportata in seguito, per motivi, presumibilmente, di potere e di controllo....ma entriamo nel dettaglio...

Quando i discepoli di Gesù gli chiesero: "Signore, insegnaci a pregare", Egli insegnò a loro di pregare direttamente al Padre chiedendo a Lui il perdono dei loro peccati: "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra com'è fatta nel cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori." Sappiamo che "rimettici i nostri debiti" qua significa "perdonaci i nostri peccati" perché nel Vangelo di Luca lo stesso versetto dice esplicitamente: "perdonaci i nostri peccati" (Matteo 6:9-12; Luca 11:1-4).

È chiaro dunque, che dobbiamo confessarci direttamente a Dio. Così infatti faceva la chiesa nei primi secoli. La dottrina della confessione fatta al prete fu ammessa nella Chiesa Cattolica solo nel 1215, ma ancora prima di quella data già dei sacerdoti avevano iniziato ad ascoltare confessioni e, pur non dando l'assoluzione, pregavano Dio di rimettere i peccati.

A sostegno della confessione al prete, il clero cattolico cita le parole del Vangelo di Giovanni: "A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti" (Giovanni 20:21-23). Prima di tutto facciamo notare che queste parole non sono dirette agli apostoli, cioè ai dodici, ma ai discepoli, cioè a tutti i suoi seguaci. La prerogativa quindi di rimettere i peccati non è un privilegio riservato al clero, ma è estesa a tutti coloro che credono in Cristo come Signore e Salvatore.

Inoltre, fatto molto importante per intendere il significato delle parole di Gesù, i discepoli, che avevano ricevuto personalmente questo ordine, non ascoltarono mai la confessione di alcuno, ma predicarono l'evangelo, dicendo che solo in Cristo Gesù è possibile ottenere la remissione dei peccati (Atti 2:37-38; 10:43 e molti altri passi).

Il comportamento dei discepoli è una prova senza possibilità di contestazione che le parole di Gesù si riferivano alla potenza redentrice della predicazione dell'evangelo e non già ad una confessione al prete.

Oltre ciò, l'evangelista Luca, narrando lo stesso episodio di Giovanni 20:21-23, dice: "... che nel suo nome (di Cristo) si predicherebbe ravvedimento e remissione dei peccati" (Luca 24:45-48). Questo non lascia adito ad alcun dubbio; Cristo non parlò mai di confessare i peccati ad un uomo.

Quanto detto porta con sé un'inevitabile domanda: "Dobbiamo confessarci o no?" Sì, ogni vero cristiano ha il dovere di confessare i propri peccati, ma questa confessione non va fatta ad alcun uomo, in quanto solo Dio ha il potere di rimettere i peccati.
L'apostolo Giovanni scriveva: "Se confessiamo i nostri peccati, egli (Dio) è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità" (1 Giovanni 1:9).

Per riscoprire la buona notizia, caro Ripigliatevi, è necessario liberarci da tanti orpelli aggiunti che nascondono Cristo e la Sua grazia, relegandola a puro fattore umano, religione. Non servirà per essere graditi a Dio. Non servirà essere cattolici, evangelici, etc, Gesù farà si una separazione ma non tra religioni, piuttosto tra chi avrà ricevuto il Suo dono e chi non lo avrà fatto.

A poco servirà la nostra appartenenza religiosa per lenire le scottature della ghena, e a poco servirà la nostra religione se saremo nella Gioia del Signore. L'unica discriminante è la nuova nascita, in Cristo Gesù, per Cristo Gesù, per la Sua gloria. E' Lui il tuo Signore, è Lui il mio Signore?

Se così è all'ora gioia e gaudio, altrimenti e' qualcun'altro il signore delle nostre vite, nonostante quello che confessiamo o difendiamo...

ma c'è ancora un giorno, oggi, per ricevere la buona e accettevole verità che Cristo è il Re dei Re, il Redentore, il Salvatore, DIo onnipotente, inginocchiamoci davanti a quella croce dove pagava per me, per te.
Ecco il dono, prese su di se quelle tenebre oscure che lo fecero quasi impazzire e gridare "Padrè perchè mi hai abbandonato". Quelle tenebre sono le nostre, le mie, le tue. Non uno ma mille inferni caricò su di se Gesù...
E' questo il Suo dono per te, sei pronto a riceverLo?
Ora è nella gloria e ne da un pezzetto a tutti quelli che lo ricevono.... e possiamo dire "Abba Padre..."
Ora è il tempo di riceverLo...

A DIo la gloria, davanti a Lui ogni ginocchio si piegherà e confesserà la propria debolezza, inutilità, a Lui la Gloria, la nostra salvezza, il nostro perdono, la nostra redenzione, al Re dei Re gloria, onore e potenza nei secoli dei secoli..... AMEN!

Inviato da Gianni57 il

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