Riporto di seguito una interessante considerazione di un giornalista che ha lavorato molti anni nelle cronache anche di guerre e terremoti. Le considerazioni che fa non sono prettamente spirituali anche se le problematiche citate hanno natura spirituale. Tuttavia le riporto perchè è un interessante punto della sistuazione su quello che c'è nel cuore, oggi, dei giornalisti, almeno molti di essi. Ed è la stessa cosa che c'è in molti uomini...

Prima di trascrivere l'articolo vorrei sottolinare una profezia biblica inerente gli ultimi tempi che, agli occhi di chi vi scrive, appare in piena realizzazione, no non parlerò ora di terremoti ma: l'apparenza della pietà

2Tm 3:1 Or sappi questo: negli ultimi giorni verranno tempi difficili; 2 perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, 3 insensibili, sleali, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene, 4 traditori, sconsiderati, orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio, 5 aventi l'apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza.

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Non voglio dare lezioni, anche se per età (e per esperienza) potrei anche azzardarmi a fornire qualche consiglio. Ho passato la vita fra guerre e disastri e so bene che non bisogna visualizzare la morte per dare il senso di una tragedia. Sono stato addestrato al rispetto delle vittime e al pudore dei sentimenti pur impegnato per mestiere a raccontare la fine della vita. Non è facile fare televisione, lo so. Ma il senso di responsabilità, la misura, deve essere sempre presente perché si è il tramite con l’evento e la gente a casa vede quello che tu rappresenti.

Cosa pensate che ci si ritrovi davanti dopo lo scoppio di un’autobomba o dopo uno tsunami? Ma certo non si può chiedere a una madre davanti al cadavere del figlio: “cosa prova?” Come se si potesse spiegare il dolore. Come non si può chiedere ai terremotati senza più niente, spesso neppure i ricordi, “e adesso che farete?”

Ho vissuto tante volte, dal di dentro, l’incubo di un sisma, ho partecipato all’angoscia e convissuto il dramma di chi ha perso ogni cosa, spesso anche la vita dei propri cari. E già mi commuove l’immagine di un padre disperato che piange sulle macerie. So che il momento più brutto deve ancora arrivare, quando non sai come (e perché!)  ricominciare. Ricordo il momento triste dell’esodo, ho nel cuore le testimonianze sul nulla, la paura infinita. Non solo da cronista, anch’io sono stato un terremotato quando una botta terrificante ha lesionato la mia casa anconetana e sono andato a dormire in tenda assistito dal mio angelo custode, nonna Assunta, prima di sfollare lontano chilometri dal posto di lavoro.

Ma ho vissuto da terremotato anche all’Aquila, nella tendopoli in piazza d’Armi, o nella Bam rasa al suolo, dall’altra parte del mondo. E la paura: quella volta a Cesi quando la scossa mi ha colto all’aperto e ho sentito la terra tremare sotto i piedi, completamente indifeso. O a Colfiorito sorpreso dentro una casa di latta come ho sempre chiamato i container. Porto tutto dentro di me, consapevole di aver attraversato le catastrofi in punta di piedi. Talvolta, forse, trasferendo la mia anima e le mie emozioni.

Ma adesso è tutto diverso.  L’informazione è gridata, ragazzini assatanati non conoscono limiti alla decenza e al rispetto. Vanno sempre oltre, nati e cresciuti dentro una concorrenza spietata. E spesso non bastano gli ultimi maestri a frenarli. Sono seriamente preoccupato: sta crescendo una generazione simile a un algoritmo, senza lacrime. Robot che non sanno più piangere.

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Pino Scaccia

Inviato storico del Tg1 Rai. Ha seguito i più importanti avvenimenti degli ultimi trent’anni. Prima di dedicarsi a tempo pieno all’attività di scrittore, è stato capo redattore dei servizi speciali del Tg1. "Giornalismo, ritorno al futuro" (Giubilei Regnani) è il suo ultimo libro.

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